Non è di certo una novità che la storia di Napoli – e della Campania in generale – si giochi su più piani. Culla prediletta di arte e bellezza, accoglie e raccoglie in sé tutto ciò che ne può favorire l’espressione. E riesce ad ottenere alcuni dei migliori risultati dell’intera penisola.
Attori, cantanti, pittori, artigiani: c’è posto per tutti a Napoli e nella regione di cui è capoluogo. Tra i suoi vicoli e le sue bellezze architettoniche, su uno sfondo di profumi e sapori che tentano e nutrono chiunque vi si aggiri, si gioca la partita della vita nella sua versione più calda e godereccia.
A proposito di profumi e sapori, credo che sia giunto il momento di scomodare alcune delle personalità più importanti a cui Napoli e la Campania hanno dato i natali, per esplorare il vasto panorama culinario di un luogo che ha donato tanto alle nostre menti ma anche alle nostre pance.
In particolare, oggi, mi prendo la responsabilità di bussare all’uscio dell’immenso Antonio De Curtis (in arte, Totò) per raccontarti un po’ i suoi gusti. Ti rivelerò quale fosse la sua filosofia in fatto di cucina, cosa lo stimolasse come cuoco e che rapporto avesse con la cucina francese. Ovviamente, ti dirò anche quale fosse il piatto preferito di Totò.
Pronto ad aggiungere un posto a tavola?
Totò e il cibo
Che Totò fosse un grande amante del cibo è indiscutibile! Ce lo raccontano le testimonianze su di lui, lo spazio ad esso dedicato nei suoi film e, soprattutto, le parole della figlia Liliana. È proprio attraverso le parole di quest’ultima, calcificate nel libro “Fegato qua, fegato là, fegato fritto e baccalà” (edito da Rizzoli), che riusciamo ad entrare con più familiarità nel mondo del grande artista e a scoprire quale rapporto intercorresse tra Totò e il cibo.
Semplicità e qualità: sono queste le parole d’ordine che ci permettono di fotografare la concezione di Totò riguardo al cibo.
“Se decideva di mangiare pane ed olio, entrambi gli ingredienti dovevano essere di prima scelta e consumati ad una tavola bene apparecchiata, perché secondo lui l’occhio e lo stomaco avevano uguali diritti”
Liliana De Curtis
È probabile che la sua concezione del cibo sia stata influenzata, oltre che dalla madre Anna Clemente, anche dalle sue esperienze lavorative. Potresti non sapere, infatti, che i primi anni della gavetta di Totò furono molto duri per lui e che patì spesso la fame, prima di affermarsi come l’attore acclamato che è oggi. È stata proprio questa esperienza di forte indigenza a favorire il consolidarsi di un rapporto – quello tra Totò e il cibo – che sarebbe durato per una vita intera e che avrebbe toccato molti aspetti della vita dell’artista.
Totò era, infatti, non soltanto una buona forchetta ma anche un bravo cuoco.
La sua concezione di cucina si basava sostanzialmente sull’idea che gli ingredienti della tradizione dovessero essere valorizzati con semplicità, senza cadere negli eccessi di una lavorazione troppo lunga e macchinosa. Per riuscire ad ottenere un risultato che soddisfacesse il palato, però, era anche sua cura accertarsi che le materie fossero di prima scelta. Soltanto in questo modo si sarebbe potuti arrivare, a detta di Totò, a comporre un piatto che appagasse sia l’anima che il corpo.
Cuoco e non “chef”, cucina napoletana e non francese
Per essere stato un grande estimatore della tradizione e un amante del buon cibo nella sua forma meno lavorata, Totò preferiva la cucina della sua terra a quella elaborata dei cugini d’Oltralpe. Era convinto, invero, che nel sapore del pomodoro, di qualche oliva e cappero e di un buon filetto di baccalà ci fosse quanto bastava per consumare un pasto delizioso, il tutto condito da un filo d’olio extravergine di oliva.
Niente burro, quindi, né escargot per Totò. Solo i profumi e i sapori della Campania e dell’Italia.
Proprio per questo motivo, chiunque si guarderebbe bene dal definirlo chef. Non tanto perché non ne avesse le capacità, ma piuttosto perché è probabile che Totò avrebbe caldamente rifiutato un titolo così lontano dal suo modo d’essere.
Nel quadernetto nero dove appuntava le sue ricette, diventato celebre per aver permesso alla figlia Liliana di farne un libro, egli si divertiva a sperimentare e a improvvisare, partendo dai classici della cucina a lui più nota che aveva appreso dalla madre. Riusciva, così, a dar vita a una varietà di bontà che attraversavano l’intero svolgimento di un pasto all’italiana: antipasti, primi e secondi piatti, contorni e finanche dolci, senza dimenticare qualche sciccheria per le grandi occasioni.
Quel quaderno era, insomma, una specie di piccola enciclopedia culinaria alla Totò, che ci ha permesso di vedere il mondo della gastronomia attraverso i suoi occhi di avido estimatore della cucina napoletana.
Anche l’occhio vuole la sua parte
Le doti di Totò sono innumerevoli e ce lo testimonia senz’altro la sua brillante carriera. Totò non è stato soltanto un comico e un attore. Totò è stato anche un commediografo, un paroliere, un poeta e un grande sceneggiatore. Qualità, queste, che non ha mancato di portare nel campo che, probabilmente, meglio si adattava alla sua personalità: quello della cucina.
Abbiamo già visto che Totò, come cuoco, ha dato priorità alla semplicità e alla qualità per creare piatti dai sapori e dai profumi irresistibili. Ciò che probabilmente non sai è che Totò fosse convinto dell’importanza di una tavola ben apparecchiata. Come si suol dire, del resto, anche l’occhio vuole la sua parte.
Se è vero che ogni pasto è un’esperienza completa e che, come diceva Totò, “a tavola si capisce chi sei e con chi hai a che fare“, non è possibile prescindere dall’apparecchiatura. Dedicare un’attenzione in più alla scelta accurata di tovaglia, piatti e stoviglie spiana il terreno alle portate che si andranno a consumare e crea nella persona un’aspettativa, che stimola la fame e trasmette l’amore col quale si ci sta preparando al momento del pasto.
Presentare un piatto, per buono che sia, su una tavola poco curata significa, in qualche modo, mortificarlo. Non sono necessari grandi acquisti e pezzi unici per ottenere un buon risultato. Anche qui, la parola d’ordine è semplicità: pochi elementi, puliti e disposti in modo ordinato, bastano già a fare la differenza.
Gli spaghetti alla Gennaro: il piatto preferito di Totò
Individuare un unico piatto preferito, quando si parla di un amante del cibo come Totò, è un’impresa pressoché impossibile. Tale era la sua passione per il cibo, del resto, che abbiamo avuto modo di venirne a conoscenza anche mediante i suoi film: “Miseria e Nobiltà”, “Finalmente si mangia” e “Il pranzo è servito” sono soltanto alcuni dei titoli che mi accingo a citare.
Ciò non significa, però, che non si possa comunque tentare.
Dopo un’accurata ricerca e la selezione di diversi piatti della tradizione amati da Totò, sono infine approdata a una decisione: gli spaghetti alla Gennaro possono essere considerati il piatto preferito di Totò, o almeno uno dei suoi preferiti. Non me ne vogliano le polpette di mamma’ – che avevano senz’altro un posto di riguardo nel cuore dell’artista –, ma trovo che questo piatto di pasta racchiuda in sé proprio le caratteristiche rappresentative del modo che aveva Totò di intendere la cucina: semplicità e qualità, partendo da ingredienti poveri.
E non è un male il fatto che gli spaghetti alla Gennaro siano nati proprio come tributo al Santo patrono della città di Napoli.
Il matrimonio tra Totò e gli spaghetti alla Gennaro viene, così, subito spiegato. Si tratta, difatti, di una ricetta apparentemente molto simile a quella degli spaghetti alla carrettiera, ma le cui varianti sono sufficienti a darle una precisa identità. Un’identità che non va mai sotto il nome di “banale” giacché, pur nella loro semplicità, gli spaghetti alla Gennaro sono un’esplosione di sapore e consistenze di cui non potrai fare a meno di innamorarti.
Per preparare il piatto preferito di Totò, bastano pochi ingredienti: spaghetti, acciughe, pane raffermo, basilico, origano, aglio, olio, sale e pepe. È probabile che, a buttare un occhio nella tua dispensa, ti renderai conto di essere già in possesso di tutto ciò che serve per cucinarli.
Perché non farlo subito?!
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