Ciao, posso farti una proposta?
Inizia con un messaggio su Messenger quella che poi diventerà a tutti gli effetti una chiacchierata in compagnia più che un’intervista. Fortunatamente ci conosciamo da molti anni e non mi ha scambiato per uno di quei pazzi che ti scrivono sui social con una scusa ma che in realtà vogliono solo sfarfallare.
Conscio di trovare una persona cresciuta e maturata grazie alle mille esperienze, una pallavolista vera, preparo domande e block notes per darmi un’aria professionale. Quel pizzico di nervosismo che percepivo viene però stemperato all’istante da un enorme sorriso, rimasto uguale nonostante il passaggio adolescente – donna che mi ero perso non vedendola più da almeno dieci anni.
Possiamo ordinare qualcosa o per forza un canonico caffè? -mi interroga-, e prima che potessi rispondere aveva già ordinato due Spritz. A quel punto avevo capito che il blocchetto non serviva più, dovevo solo godermi due ore piene piene di pallavolo e di ricordi.
Sono felice di raccontarvi Marianna Maggipinto.
Predestinata
Come mai la pallavolo, come nasce questa passione?
Papà allenatore e mamma alzatrice: non potevo scegliere un altro sport. In più mio padre schiacciava sul pancione di mamma sballottandomi ancor prima di nascere: praticamente sono venuta al mondo conoscendo già il rumore del pallone.
Da piccola i miei lavoravano al Collana ed io, costretta a seguirli per giornate intere, avevo una mia stanza privata, la Stanzetta di Marianna. Ero talmente inserita nelle dinamiche della squadra e della società che mi chiamavano la Figlia del Collana. Conoscevo tutti, ero libera di fare davvero quello che volevo, tranne con papà.
Mentre allenava, per passare il tempo facevo migliaia di bagher e palleggi al muro, rumorosi e fastidiosi.
Ricordo che un giorno mi cacciò un urlo e mi mandò nella Stanzetta intimandomi di non uscire.
Se ci penso adesso scoppio a ridere, anche se all’epoca ero dispiaciuta. Sono comunque dei ricordi bellissimi di un’infanzia troppo divertente.
Il lavoro dei sogni: quando hai capito che saresti diventata una pallavolista
Ho sempre avuto questo sogno perché già da piccola mi piaceva troppo giocare a pallavolo, anche se non pensavo potesse diventare un lavoro.
Con gli anni, poi, le aspettative su di me sono cresciute e ho capito che le cose si stavano facendo serie.
La vera svolta però è arrivata con il mio primo anno fuori casa, a Cutrofiano in B1: ero giovanissima e dovevo cavarmela da sola.
In quel momento ho capito che la pallavolo stava diventando la mia professione e che ero definitivamente cresciuta.
La Carriera
Quali sono i tuoi ricordi belli e brutti e chi ti ha dato di più in questi anni
La più grande gioia è senz’altro Caserta – Orvieto valevole per la A1, che emozione immensa!
Il mio incubo ricorrente, invece, è la finale europea pre Juniores: avanti 2-0 perdiamo 3-2 contro la Polonia.
Ancora oggi la rigiocherei.
Per quanto riguarda la sfera professionale azzarderei col dire che una delle persone principali per la mia carriera è stata Antonio Piscopo, allenatore dell’ Arzano che mi ha sempre dato fiducia migliorandomi tantissimo.
Non posso poi non citare Marco Bracci, il primo allenatore avuto a Caserta, fenomenale tecnicamente.
Ho un ottimo ricordo anche di Dragan Nesic nonostante i pochi mesi insieme: mai conosciuto uno con il suo carisma e la sua empatia.
Inerente alle compagne, premesso che tutte finora mi hanno dato qualcosa, cito in ordine cronologico coloro che hanno un posto speciale nel mio cuore:
Dora Sollo, Ludovica Dalia e Caterina Bosetti.
La prima mi ha allevato e insegnato il sacrificio, la seconda mi ha dimostrato che l’umiltà porta a grandi traguardi e la terza mi ha fatto innamorare ancora di più di questo sport perché per me Caterina è il manuale della pallavolo.
Cosa ami del tuo lavoro e cosa invece potrebbe migliorare
Posso dire di essere davvero fortunata a far parte di questo mondo ma qualcosa può sempre migliorare.
Si potrebbero magari tutelare di più le atlete, sia nel loro essere donne che riconoscendone l’impegno di ogni giorno con adeguati contratti.
Nonostante i tanti sacrifici, come quelli che vengono fatti per tutti i lavori, la pallavolo mi ha permesso di vivere esperienze meravigliose.
Ho avuto a che fare con tante culture diverse, tanti modi di pensare, condividere spazi, giornate ed emozioni con persone che non fossero miei familiari. Inoltre vivere da sola lontana da casa, ti responsabilizza e ti rende per forza di cose indipendente.
Chi è realmente Marianna Maggipinto
Se dovessi descriverti come lo faresti
La Maggi è una inguaribile sognatrice. Credo di essere una persona molto ambiziosa non solo in ambito pallavolistico. Sono parecchio accomodante e disponibile, come dimostrano gli attestati di stima che fortunatamente ricevo ogni anno da compagne, società e tifosi.
Credo nei valori e adoro la mia famiglia, i miei primi tifosi nonché la mia forza nei momenti complicati.
Difficile da credere ma ho anche tempo libero, ovviamente non quest’anno funestato dal Covid. Mi piace conoscere cosa c’è intorno a me e visitare luoghi, spesso in compagnia di Davide.
Conosciuto sei anni fa e ancora non mi ha lasciato (ride ndr), apprezza chi sono, il mio lavoro ed è un ottimo consigliere e compagno.
Come vedi il futuro?
Seppur sia stata breve finora la mia carriera, sento di poter migliorare ancora tanto e provare magari a lasciare un segno tangibile della mia presenza in questo sport. Non voglio tradire le tante aspettative che c’erano su di me. Riconosco di essere un po’ frettolosa ma adesso ho bisogno di certezze e di essere protagonista.
Entrare in questo circuito di atlete è tanto difficile quanto sia invece facile uscirne vista la concorrenza di tante giovani pallavoliste talentuose ogni anno. Vivo di pallavolo da quando sono nata e voglio continuare a farlo finché avrò la forza e gli stimoli. Il primo amore è sempre il primo amore, quello che non si scorda mai.
Grazie a Marianna Maggipinto per la disponibilità, la simpatia e la grande umiltà. Da oggi, tutti noi del team del Corriere di Napoli facciamo il tifo per te.
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