
Uroboro: in ricordo di Pio La Torre. Benvenuti al settimo episodio di “Uroboro”, una rubrica nella quale analizzeremo una volta a settimana un evento storico riguardante il passato recente e non.
PERCHE’ UROBORO
Mentre studiavo per l’università, mi sono imbattuto nel mio vecchio libro di filosofia. Riaprendolo, ho riletto il pensiero di Nietzsche riguardo il concetto di storia. Più nello specifico, mi sono soffermato al pensiero di eterno ritorno dell’uguale. Incuriosito, sono andato a cercare una definizione per spiegarla: si parla di una teoria che si ritrova genericamente nelle concezioni del tempo ciclico, come quella stoica, per cui l’universo rinasce e rimuore in base a cicli temporali fissati e necessari. Ripete eternamente un certo corso e rimane sempre se stesso. Esiste, inoltre, un simbolo molto antico, presente in molti popoli e in diverse epoche: l’uroboro. L’uroboro rappresenta un serpente o un drago che si morde la coda, formando un cerchio senza inizio né fine. Rappresenta il potere che divora e rigenera se stesso, la natura ciclica delle cose, che ricominciano dall’inizio dopo aver raggiunto la propria fine.
PREVENIRE È MEGLIO CHE CURARE
Spesso a scuola mi è stato detto che conoscere un’evento del passato aiuta a capire l’evoluzione del presente. Ma, ancora più spesso, ho sentito pronunciare la frase “studiare il passato aiuta ad impedire che si riproponga in futuro il ritorno di un evento negativo”. L’ho sentita a scuola. L’ho sentita in televisione. Nonostante ciò, però, è la storia stessa che ci dimostra che non abbiamo sempre imparato la lezione. Il periodo fascista in Italia, ad esempio, ha portato gli uomini dell’epoca a voler prevenire un ritorno a quel periodo. Basti pensare che nel 1948, all’interno della costituzione italiana, il dodicesimo articolo recita “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. ”
Prima del 13 settembre 1982, invece, secondo la legge, non esisteva nessun tipo di “associazione mafiosa”. Solo la morte di Pio La Torre il 30 Aprile 1982 e quella del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa il 3 settembre 1982, costrinsero lo stato italiano a far approvare la legge ‘Rognoni-La Torre’. Una svolta definitiva nella lotta a ‘Cosa Nostra’, poiché quella legge introdusse il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso nel codice penale italiano. Solo la morte di un politico ed un generale, però, portò a muoversi finalmente contro la criminalità. Perché non prima?
PIO LA TORRE, IL ROBIN HOOD SICILIANO
Di origini palermitane, Pio La Torre nacque il 24 dicembre del 1927, da papà siciliano e mamma lucana. L’infanzia e l’adolescenza non furono semplici per lui: viveva in una famiglia povera, assieme a 5 fratelli ed in una casa senza acqua o corrente elettrica. Il contesto familiare lo influenzò a tal punto da decidere di lottare contro i soprusi che i suoi genitori e tutti i contadini siciliani subivano sin da allora. Nel 1945 si iscrisse al Partito Comunista e dal 1947 in poi si mosse in prima persona contro le ingiustizie subite dalla classe contadine di tante città della sua regione natia. Un uomo dall’enorme integrità morale, che finì in carcere per difendere i suoi ideali.
Il 10 marzo 1950, Pio La Torre era a capo di un corteo di contadini, diretto a Bisacquino con l’obiettivo di occupare un terreno di circa duemila ettari e dividerlo in maniera equa tra tutti i braccianti presenti. Sulla strada di ritorno, però, vennero fermati dalla polizia del posto, intenta ad arrestarli. La vicenda finì, purtroppo, in uno scontro violento e con l’incarcerazione di La Torre il giorno dopo nella sede dell’Ucciardone, a Palermo. Ci rimarrà fino all’agosto del 1951. Durante la detenzione, morì di tumore sua madre.
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LA CARRIERA POLITICA
Nel 1952 fu eletto per la prima volta al Consiglio comunale di Palermo. Lo resterà fino al 1966. In questo periodo divenne segretario regionale della Cgil, nel 1959 e del PCI siciliano (1962-1967). Nel 1969 venne convocato a Roma dal partito alla Direzione centrale del PCI dove ricoprì l’incarico di vice responsabile della Sezione agraria e della Sezione Meridionale.
Nel 1972 venne eletto al Parlamento dove resterà per tre legislature, facendo parte delle Commissioni Bilancio e programmazione Agricoltura e Foreste, della commissione parlamentare per l’esercizio dei poteri di controllo sulla programmazione e sull’attuazione degli interventi ordinari e straordinari nel Mezzogiorno ma soprattutto della commissione Antimafia.
THE LAST DANCE
Tra le tante battaglie combattute nella sua vita, quella più celebre e significativa è sicuramente stata quella di Comiso. Tutto cominciò il 7 agosto 1981, quando il governo italiano annunciò un accordo con la Nato che consentiva l’installazione di alcuni missili nucleari all’interno della base militari di Comiso, a Ragusa. Nel 1981 era in pieno svolgimento la Guerra Fredda. Quell’accordo, secondo lui, esponeva l’Italia ad una posizione non neutrale e minacciava quindi la sicurezza di tutta la nazione. Per questo, Pio La Torre lanciò una petizione contro la realizzazione del progetto e fissò una manifestazione pubblica per parlarne l’11 ottobre, proprio a Comiso.
La manifestazione ebbe tantissimo successo. Proprio questo enorme successo, però, sancì la sua condanna a morte. La mafia siciliana, infatti, individuò in lui una figura d’intralcio nel loro piano di espansione economica, puntato in quel periodo proprio verso la base militare di Comiso.
UNA MORTE NON VANA
Il 30 aprile 1982, assieme al suo collaboratore Rosario Di Salvo, Pio La Torre venne brutalmente ucciso da alcuni uomini, mandati da alcuni boss di ‘Cosa Nostra’. Tra le 519 vittime innocenti di mafia, ne entrò a far parte da quel giorno anche l’onorevole Pio La Torre. Una morte non vana, però, perché svegliò l’Italia da un coma profondo. Un coma durato troppi anni e che ha visto troppe persone perdere la vita. Un esempio per tutti noi, che va ricordato e celebrato per la costanza e la consapevolezza di aver lottato contro qualcosa di più forte di lui, costringendoli ad ucciderlo per fermare la sua battaglia. Uroboro: in ricordo di Pio La Torre.
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