Con la pratica degli scolatoi apriamo il nostro quarto appuntamento della rubrica Riscopriamo Napoli. Quello di cui oggi tratteremo non sarà un particolare evento storico, né chissà quale opera dimenticata nel tempo o da tutti. L’argomento del giorno sarà un’affascinante, ma macabra pratica funeraria largamente adoperata nel Mezzogiorno dal Medioevo fino al XIX secolo.
Un argomento piuttosto scomodo
L’usanza degli scolatoi è strettamente collegata ad una tematica che al giorno d’oggi siamo soliti evitare, ma che adesso sentiamo così vicini a causa della pandemia in corso. Quello della morte è di certo un argomento scomodo che facciamo ben volentieri ad evitare a causa della sua brutalità e delle nefaste esperienze di cui è portatrice. Allo stesso tempo è anche qualcosa di affascinante per artisti, filosofi, storici e tanti altri intellettuali che hanno tentato di approfondire la questione. Diceva Martin Heidegger che la morte non è sinonimo della fine, ma è parte integrante del ciclo vitale.
Nel Medioevo il concetto era in parte diverso da come lo concepiamo noi adesso. Le persone del periodo medievale, rispetto ad oggi, dovevano avere una maggiore familiarità con questo tema delicato. La morte era visto non solo come un avvenimento fatalistico, ma veniva persino idealizzato: si consideri come esempio i poemi cavallereschi che vedono i cavalieri sfidare la morte per affermare le proprie virtù.
Allo stesso tempo era anche considerato un passaggio indispensabile dell’anima dal mondo terreno a quello ultraterreno. Molti dei riti funebri servivano non solo a commemorare la dipartita di un individuo, ma servivano anche a sottolineare l’avvenuto passaggio verso l’aldilà.
Nel Mezzogiorno…
… il rito della scolatura era molto apprezzata e diffusa, anche se rimase quasi un’esclusiva dei nobili e degli ecclesiastici. In particolar modo a Napoli gli scolatoi hanno origini antiche che risalgono da una legislazione romana che consentiva ai cittadini il diritto di dare sepoltura ai defunti in zone lontane dagli abitati cittadini.
Sfruttando l’omonima legge, i napoletani presero a scavare nei sottosuoli realizzando numerose catacombe sotteranee (sugesstive sono quelle di San Gaudioso e San Gennaro o la recente Cripta degli Abati di Sant’Anna dei Lombardi). Fu forse sempre in età antica che si diffuse nell’area napoletana la pratica della scolatura, di cui oggi molte chiese come quella di San Pedino o Sant’Anna dei Lombardi ne conservano le loro testimonianze.
A cosa servivano gli scolatoi?
La scolatura consisteva nella macabra pratica della decomposizione del cadavere e della sua essiccazione. Il rito iniziava con la disposizione del corpo su un sedile scavato nel tufo o nella roccia detto nicchia. Tali posti a sedere disponevano di un accessorio detto cantarelle che consisteva in un vaso che serviva a raccogliere i liquidi che fuoriuscivano dai cadaveri.
Durante il processo di essicazione vi era un professionista del settore che aveva il compito di provvedere ad accelerare la decomposizione e a tenere sotto controllo lo stato del corpo. Lo schiattamorto era colui che accelerava il processo di putrefazione schiattando il corpo con un apposito strumento. Il cadavere, poi, veniva lasciato putrefare fino a ridurlo ad una sorta di mummia da cui estrarne le ossa. I resti venivano, infine, depositati nell’ossario o terre sante fino a quando non si riducevano in polvere.
“Puozze sculà!”
Ai nostri occhi quella degli scolatoi può sembrare una pratica macabra che ci siamo lasciati alle spalle. Ma se ci pensiamo bene, si tratta di un rituale funebre che non è così diverso dalla mummificazione praticata dagli antichi Egizi sui cadaveri che ancora oggi suscitano meraviglia per la loro conservazione.
Inoltre, la scolatura aveva anche un’importante valenza simbolica, con la carne putrefatta a simboleggiare la cadenza della vita carnale ed il bianco delle ossa a rappresentare la purezza dell’anima. Senza contare, poi, che le scolature erano largamente adoperate non solo dagli ecclesiastici, ma anche dai nobili che ne facevano richiesta o che elargivano generosi doni alle chiese.
Infine vi è una curiosità. Il ricordo della scolatura, ad oggi, sopravvive nell’espressione napoletana Puozze sculà, cioè “Possa tu scolare”. Si tratta di una formula malaugurale con la quale condanniamo una persona a subire il trattamento della scolatura (un destino ben peggiore della morte stessa!).
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