L’argomento di oggi per la rubrica “Colori partenopei” è lo storico legame tra la Spagna e la città di Napoli. Attraverso le parole di Antonella Piegari, una ragazza campana che ha studiato la lingua spagnola presso l’università “L’Orientale” di Napoli, scoprirete i particolari di quest’importante influenza culturale.
Influenza non soltanto culturale
La Spagna ha numerosi legami con l’Italia in generale. La studentessa afferma che, molto spesso, ci si chiede se si debba parlare di un’Italia spagnola o di una Spagna italiana, date le numerose influenze reciproche tra le due culture. In particolar modo, la Spagna ha un legame molto forte con la città di Napoli, scaturito da numerosi fattori, principalmente storici, che di conseguenza hanno influenzato vari ambiti. Tra questi, l’ambito culturale, quello gastronomico e quello linguistico.
Secondo la studentessa, “la maggior parte dei napoletani è al corrente di questo retaggio culturale, considerando la palese influenza spagnola. Basti pensare ai nomi delle strade principali della città, come Via Toledo, i Quartieri Spagnoli, Palazzo dello Spagnolo e Palazzo Sanfelice“.
Toledo e quarteras
I primi cenni storici di una Napoli spagnola li abbiamo nel 1500, anno in cui ci fu la nascita di una nuova Napoli. Nonostante ci fosse una precaria situazione politica, Napoli divenne una vera e propria città urbanistica, con un’altissima densità di popolazione. Sono state fondamentali soprattutto le trasformazioni attuate dal viceré Don Pedro de Toledo, che fece costruire l’attuale Via Toledo e i quarteras (i famosi Quartieri Spagnoli).
I quarteras nacquero nel 1536 come guarnigioni militari destinate alla repressione di eventuali rivolte della popolazione, oppure come dimora temporanea per i soldati che passavano da Napoli prima di andare ad un altro fronte di guerra. Allo stesso tempo, erano atti ad ospitare i numerosi abitanti che, in quegli anni, si erano stabiliti nella città dalle campagne circostanti. In pochissimo tempo, Napoli assunse un elevato grado di crescita economica e culturale e diventò una città fondamentale su tutti i fronti.
Il lascito culturale spagnolo
Da un punto di vista culturale, Antonella ci dice che basta fare una passeggiata nel centro storico di Napoli per sentirsi direttamente catapultati nel calore e nella gioia della cultura spagnola. Il folklore presente nei vicoli della città è caratterizzato principalmente dall’uso delle nacchere: strumento musicale d’origine spagnola, proprio come il ritmo delle canzonette (chiamate così dagli spagnoli) suonate per le strade. Ma ci sono anche alcune usanze tipiche della cultura iberica, come quella di mangiare 12 chicchi d’uva la notte di San Silvestro allo scoccare della mezzanotte per buon auspicio. 12 chicchi: uno per ogni mese dell’anno che verrà per assicurarsi gioia e prosperità.
A me m piasc o A mí me gusta?
Da un punto di vista linguistico, la dominazione spagnola di Napoli ha arricchito il napoletano di ispanismi e numerosi calchi. Una delle parole più usate nel dialetto napoletano è “guappo”, dallo spagnolo guapo, che significa mascalzone.
Antonella ci fa altri esempi a tal proposito: “rollo” (che significa rotolo); “riloggio”(che significa orologio) viene dallo spagnolo reloj; “cammisa” (che significa camicia) deriva da camisa; “nenna/ninno” (bambina/o) da niño/a; “m’panata”(cibo impanato e poi fritto) da empanada; “cunto”(racconto) da cuento; “mammà” (mamma) da mamà; e, infine, abbiamo “muntone” (mucchio) che deriva da montòn.
Anche la grammatica del dialetto napoletano riprende quella spagnola. Per esempio, la forma napoletana “a me m piasc” – in cui si ripete il pronome per rafforzarne il significato – viene da quella spagnola “a mí me gusta”.
La scelta di studiare spagnolo
La studentessa ci spiega il motivo per cui ha scelto di studiare spagnolo: “Ciò che mi ha spinto maggiormente è stato il suono della lingua e la sua pronuncia così “caliente” (calda/passionale, ndr). Un altro dei motivi è la sua somiglianza con l’italiano (soprattutto il napoletano) e con l’arabo, che è l’altra lingua che ho studiato. Durante gli anni, ho potuto constatare quanto lo spagnolo e l’arabo siano simili, ma soprattutto influenzati tra loro, sia culturalmente che linguisticamente. Infine, credo che lo spagnolo sia sempre stata una lingua interessante per chiunque e conosciuta in gran parte del mondo”.
L’arte nel cuore della città
L’arte spagnola è molto presente a Napoli, principalmente nel cuore della città e nei luoghi più famosi. “Pensiamo a Port’Alba, Palazzo dello Spagnolo e Sanfelice, il Palazzo Reale, Piazza Municipio, il Teatro San Carlo”. I Quartieri Spagnoli, inoltre, sono ricchi di murales, folklore, bancarelle e street food, proprio a richiamare la tradizione spagnola.
Il “morbo del soldato napoletano” e il Covid-19
Sul finire della nostra intervista, Antonella ci racconta un’ulteriore curiosità sul legame tra Spagna e Napoli.
Tra il 1918 e il 1920, dai 50 ai 100 milioni di persone morirono per “la grande l’influenza”, la cosiddetta “spagnola”. Non fu chiamata così perché nacque in Spagna – come si potrebbe pensare – ma perché i soldati spagnoli furono gli unici a rendere pubblico questo problema che, in realtà, affliggeva tutta l’Europa.
“Nello stesso periodo, la commedia lirica “La canción del olvido” di José Serrano raggiunse il picco del successo. L’opera raccontava della Napoli del 1799 e per le strade tutti canticchiavano soprattutto un coro di questa commedia, quello del “Soldado de Nápoles” (Soldato di Napoli)”. Questo fu l’appellativo con cui la stampa spagnola iniziò a chiamare l’epidemia ed è per questo che adesso parliamo di “morbo del soldato napoletano”.
Antonella prosegue così: “L’epidemia da Covid-19 viene spesso paragonata alla “spagnola”, proprio perché entrambe accomunate da complicanze del sistema respiratorio. In quel periodo storico, alla fine della prima guerra mondiale, la situazione era ben diversa da quella odierna. C’era malnutrizione, scarsa igiene ed ospedali super affollati. Anche in quel caso, il governo attuò delle restrizioni, costruendo muri di cinta intorno alle città e le famiglie furono barricate in casa, fino a quando tutta la popolazione si vaccinò e il virus scomparve”.
La studentessa crede che la storia insegni tanto: “Dobbiamo prenderne esempio ed essere pazienti”.
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