Benvenuti in questo secondo appuntamento con “Riscopriamo Napoli” dove ci addentreremo nel complesso di San Giovanni a Carbonara. Si tratta di un sito che amo definirlo personalmente la “testa di un lungo serpente culturale” per la sua ubicazione. Il complesso si trova a poca distanza da piazza Garibaldi, una delle aree più affollate dai turisti, e da un bivio che collega a via Duomo, al Museo Archeologico, al Giardino Botanico ed al Reale Albergo dei Poveri.
L’importanza di San Giovanni a Carbonara non risiede solo nella sua posizione. Al suo interno scorrono numerose correnti artistiche che vanno dall’“oscuro gotico” allo “splendente Illuminismo”. Insomma, il complesso è…. un complesso a tutti gli effetti ed un’ottima base di partenza per chi vuole esplorare Napoli in tutta la sua magnificenza culturale.
Perché San Giovanni a Carbonara?
Il complesso nasce tra il 1339 ed il 1343 quando il nobile filantropo Gualtiero Galeota donò alcune terre all’ordine agostiniano. I monaci decisero di onorare il regalo intitolando il complesso con il nome del santo a cui i Galeota erano devoti, San Giovanni. “Carbonara”, anche se sembra rimandare all’omonimo piatto, in realtà allude ad una curiosa attività. La chiesa sorgeva all’infuori delle mura nei pressi di un fiume da dove i monaci raccattavano i detriti e l’immondizia scaricati dai cittadini. In seguito la spazzatura veniva bruciata per ottenere il carbone che veniva venduto al mercato. Questo metodo era detto ab carbontum: da qui il nome San Giovanni a Carbonara.
Istruzioni per accedere a San Giovanni a Carbonara
Lo spettacolo di San Giovanni a Carbonara inizia dall’esterno, con le scale a pioli realizzate da Ferdinando Sanfelice nel 1707. La sua funzione era più tecnica che estetica, poiché dovevano risolvere un problema di dislivello che rendeva difficoltoso l’accesso.
Una volta superato il cortile si entra nella chiesa dall’entrata laterale e non quella principale. Il portone, infatti, venne murato nel 500′ per far spazio al monumento funebre di Scipione Somma nell’omonima cappella che ospita anche un ciclo di affreschi rinascimentali della Passione di Cristo.
Un gigante di marmo
Il monumento funebre a re Ladislao che torreggia sulla navata è il principale protagonista di questo pezzo. L’opera fu commissionata da Giovanna II d’Angiò che intendeva commemorare la memoria del fratello, Ladislao di Durazzo, scomparso nel 1414. I lavori dureranno più di dieci anni e vedrà l’intervento di vari artisti dei quali abbiamo un solo nome: Andrea Guardia da Firenze.
Questo immenso blocco di marmo è possibile suddividerlo in quattro parti. Alla base troviamo le virtù cardinali di Temperanza, Fortezza, Prudenza e Magnanimità che “sorreggono il monumento”. Dal secondo piano in poi, troviamo la figura di re Ladislao di Durazzo. Nel secondo ordine è seduto affianco della sorella Giovanna con altre Virtù, mentre nel terzo vi è il suo sarcofago consacrato da un vescovo dove riposano i suoi resti. Al quarto piano, infine, troviamo Ladislao a cavallo con tanto di spada vera a simboleggiare le virtù militari (cosa insolita per un luogo di culto). Da segnalare anche un Crocefisso di Giorgio Vasari ai piedi del monumento: è una delle sedici tavole commissionate durante il suo soggiorno napoletano.
Due cappelle di nome Caracciolo
Passando per il monumento funebre è possibile accedere alla Cappella Caracciolo del Sole. Fu commissionata dal Gran Siniscalco (una sorta di Ministro) Sergianni Caracciolo nel 1427, ma non vedrà mai l’opera compiuta. Morirà, infatti, avvelenato nel 1432 forse per mano della regina Giovanna II. Il figlio Trojano commissionerà ad un anonimo scultore un monumento funebre dedicato al padre sito nella cappella.
La cappella presenta una struttura interna circolare, mentre all’esterno è ottagonale suddivisa in otto costoloni. Il pavimento è un immenso maiolicato blu che testimonia la vasta produzione artigianale napoletana del XV secolo. Su ogni mattonella troviamo le figure della famiglia Caracciolo ed il simbolo del Sole (da qui il suo nome).
Alzando lo sguardo troviamo 3 cicli di affreschi. Alla base troviamo le storie eremitiche di Perinetto da Benevento che ci lascia una preziosa testimonianza della vita monastica di San Giovanni a Carbonara. La seconda e terza fascia raffigurano le Storia della Vergine Maria e portano la firma di Leonardo Bessozzo, “l’ultimo degli artisti giottiani”. Il ciclo racconta la storia della Vergine secondo uno stile fiammingo, ossia in un contesto urbano che ci offre spiazzi della vita cittadina urbana.
Al lato del monumento, invece, si accede alla Cappella del Caracciolo di Vico, forse uno dei primi esempi di Rinascimento napoletano puro. L’opera è attribuita a Giovanni Donadio da Mormando che collaborò con l’umanista Jacopo Sannazaro. I tasselli del pavimento sono in sincronia con i cassettonati della cupola perchè ubbidisce alle regole geometriche rinascimentali. Ai lati troviamo i sepolcri di Galeazzo e Nicolantonio Caracciolo raffigurati con armatura e lancia per sottolineare la loro carriera militare. Ma il vero protagonista è l’altare dell’Epifania che raffigura “San Giorgio che uccide il drago” dove ai lati troviamo i santi San luca e San Marco. Una scena piuttosto insolita, se consideriamo che san Giorgio appartiene alla tradizione ortodossa orientale che non era molto sentita nel XVI° secolo.
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