La storia di Napoli è piena di tradizione, arte e cultura. Questa settimana abbiamo deciso di raccontarvela in un modo diverso: attraverso la ricostruzione degli antichi mestieri napoletani che ci aiuteranno a delineare una città ormai dimenticata.
La maggior parte di essi non sono più in uso, ma ci danno un importante rappresentazione della società partenopea fino a qualche decennio fa. Molti dei mestieri che rivedremo insieme, sottolineano la grande inventiva del popolo napoletano, ma soprattutto ci danno uno spaccato di grande povertà, che induceva le persone delle classi sociali più basse a inventarsi qualsiasi tipo di mestiere pur di riuscire a sfamare la propria famiglia.
Oggi insieme vedremo una serie dei mestieri più bizzarri e talvolta non del tutto legali che hanno animato le strade della città fino a poco tempo fa.
Il mestiere del dispiacersi: ‘a Scapillata
Delle vere e proprie professioniste del pianto, le scapillate erano figure caratteristiche della Napoli passata.
“Addolorata, affranta, dispiaciuta, costernata assai! E chi la immaginava una notizia simile, chillo ‘o cumpare steve bbuono!”
Questa una delle frasi che si potevano ascoltare di sottofondo durante i funerali. Erano proprio le scapillate a pronunciare solitamente parole del genere, e guadagnavano per farlo.
Anticamente quando si aveva un lutto e la persona in questione non vantava molte conoscenze, la famiglia affittava queste tristi comparse così da non sfigurare con i presenti. Avevano il compito di piangere e disperarsi al capezzale dello scomparso, continuando a vestire il ruolo anche durante il corteo funebre.
Di queste figure impressionava la realisticità del tormento, i pianti struggenti che portavano “in scena” non facevano destare spesso alcun dubbio sui legami che potevano avere con il morto. Un mestiere via via scomparso, ma molto interessante da esaminare perché dimostra quanto fossero forti i condizionamenti sociali dell’epoca.
Un infermiere particolare: ‘o Mastuggiorgio
‘O mastuggiorgio era un infermiere di manicomio particolarmente robusto, solitamente addetto alle mansioni più spinose. Sorvegliava i pazienti e collaborava con lo psichiatra, quando in caso di necessità infilava al malato la camicia di forza.
Le teorie rispetto all’origine del termine sono diverse. La più accreditata ci suggerisce che il termine derivi dal medico Giorgio Cattaneo, “castigamatti” del ‘600, ricordato per le pratiche molto violente sostenute nella cura dei disturbi mentali.
All’ Ospedale degli Incurabili di Napoli questa categoria di psichiatri e infermieri era detta appunto dei “castigamatti” o “fustigatori” e già da questo possiamo ampiamente comprendere la violenza a cui erano sottoposti i pazienti, ormai abituati ad essere picchiati con pesanti bastoni.
La figura del mastuggiorgio compare anche in letteratura con Salvatore Di Giacomo che lo cita in una poesia. Ma Raffaele Viviani porta il tema anche in campo musicale con un suo brano del 1910, “o guappo ‘nnammurat”. Ci racconta la storia di un don giovanni, che innamoratosi perdutamente di una ragazza, perde ogni forma di dignità paragonandosi infine ad un mastuggiorgio, un infermiere di manicomio.
La figura del castigamatti incise molto sull’immaginario popolare, tanto da aver lasciato un segno nella lingua napoletana. Infatti oggi nel parlato, l’appellativo “mastuggiorgio” ha una doppia valenza. Si può riferire a una persona forte e determinata sempre capace di prendere le redini della situazione, ma anche ad una persona che per questi stessi motivi può diventare addirittura violenta. Possiamo dire insomma che il significato attribuitogli oggi, non si discosta troppo da quello passato.
‘O Franfelliccaro, il più amato dai bambini.
Uno dei mestieri più rappresentativi della Napoli che fu, è sicuramente il franfelliccaro. Il nome può sembrare uno scioglilingua, ma era uno dei commercianti più in voga per le strade, soprattutto tra i più piccoli. Era solito girare per i vicoli col suo ingombrante carretto straripante di caramelle a base di zucchero e miele, appunto le franfellicche.
Queste prelibatezze erano fatte con ingredienti poveri e facilmente reperibili e per questo vendute a un prezzo molto basso. Erano spesso fatte in casa e una volta pronte venivano richiamati a gran voce i golosi di ogni età che accorrevano rapidamente.
A volte il franfelliccaro improvvisava anche scene teatrali o giochi da proporre ai clienti, per rendere ancora più attrattivo il suo commercio.
Molti furono i dottori che esaltarono le proprietà benefiche di queste caramelle al miele, ingrediente considerato un vero e proprio toccasana per combattere la tosse frutto dei malanni di stagione.
Alfredo Gargiulo nel 1928, dedicò perfino una poesia a questo mestiere oramai in disuso, intitolata proprio, ‘e franfellicche.
‘O Sanzaro, il Cupido napoletano
Un altro antichissimo mestiere napoletano è ‘o sanzaro, che dimostra più di tutti gli altri quanto l’inventiva dei napoletani possa produrre anche un lavoro quando non si ha.
Era sostanzialmente un mediatore e in quanto tale veniva pagato per le sue prestazioni. Nasce come intermediario di bestiame e prodotti agricoli, man mano però il suo ruolo si estende anche all’affitto delle case. Infine prende un significato ancora più ampio, diventando ‘o sanzaro ‘e matrimonio, proprio perché si occupava di procurare matrimoni.
Il sanzaro era riconoscibile dalle calze rosse che indossava, come quelle dei canonici del Tesoro di San Gennaro che spesso erano chiamati a mediare tra i giovani in procinto di sposarsi.
Oggi, nonostante questo mestiere non sia più praticato, è ancora presente nei modi di dire. Frasi come “te si miso ‘e cazett’ rosse?” sono usate in riferimento a qualcuno che tenta di procurare fidanzamenti e matrimoni, ma in generale si tratta di una persona che utilizza ogni esperienza per trarne un’opportunità.
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