Nel 1734 il Regno di Napoli ritornava ad essere nuovamente indipendente, con l’arrivo di Carlo di Borbone che caratterizzò la sua reggenza con il Trattato di Accomodamento. La presenza stessa del sovrano in città, sembrava già un elemento valido per sperare in un rapporto migliore tra sudditi e governanti. Ricordiamo, infatti, che la popolazione napoletana non aveva mai sviluppato un buon rapporto con i viceré precedenti, che vedevano la città esclusivamente come una fonte di reddito.
Carlo dovette affrontare molte questioni difficili scaturite dai governi precedenti. La struttura urbana di Napoli risentiva ancora della prolungata assenza di interventi e della mancata soluzione dei tanti problemi sia sociali che economici.
L’organizzazione urbana dei vicerè spagnoli
All’arrivo del re Borbone persistevano ancora le condizioni di sviluppo create nel XVI secolo dal piano urbanistico di Don Pedro de Toledo, viceré spagnolo in carica dal 1532 al 1553 per conto di Carlo V d’Asburgo. Il suo fu il primo ed unico rilevante episodio di ristrutturazione urbanistica, almeno fino al ‘700.
Dopo di esso, i viceré che si sono succeduti cercarono solo di limitare l’espansione dei borghi attraverso leggi restrittive. Le cosiddette prammatiche sanzioni avevano lo scopo di controllare e limitare l’edificazione all’interno delle mura della città e impedire il flusso migratorio verso la capitale. Un altro problema, infatti, era rappresentato anche dallo spopolamento delle campagne che metteva in crisi l’economia agricola.
Malgrado le varie restrizioni, la spinta demografica e la necessità di abitazioni presero il sopravvento. All’interno delle mura le case raggiunsero altezze sempre maggiori per sopperire ai divieti di edificazione. Di carattere illegale, invece, furono i borghi, nuclei urbani costruiti disordinatamente fuori le mura ed alcuni ancora presenti tutt’oggi, come il Borgo S. Antonio Abate, nei pressi del corso Garibaldi.
Lo strapotere ecclesiastico
Questa situazione si aggravò anche a causa dello squilibrio tra edilizia civile e religiosa, destinato ad accentuarsi intorno al 1540 con le vicende legate alla Controriforma. Da questo momento in poi vennero a Napoli numerosi esponenti dei nuovi ordini monastici per combattere le tendenze luterane che cominciavano a diffondersi.
Si moltiplicarono gli edifici conventuali, mentre il volto della città cambiava a causa dell’adattamento alle norme post-conciliari che riguardavano le vecchie fabbriche religiose. Furono distrutte la maggior parte delle testimonianze di epoca bizantina e romanica per dare spazio a nuovi complessi conventuali, tutti molto simili tra loro.
Lo strapotere ecclesiastico fu uno dei problemi più gravi del ‘600. Sia perché le loro costruzioni toglievano spazio per i necessari edifici civili, sia perché la Chiesa non dovendo pagare le tasse, lasciava quest’onere alla popolazione più povera.
Nel corso del ‘700 l’analisi dei fattori che incidevano negativamente sull’equilibrio socio-economico, furono individuati non solo nell’eccessivo potere della Chiesa, ma anche nell’operato del governo, nella corruzione dei magistrati e nel rigore fiscale verso le classi più povere e mai verso il Clero.
L’anticlericalismo austriaco
La guerra di successione spagnola determinò la fine del viceregno spagnolo.
Il 7 luglio 1707, il conte Daun entrò in città sancendo l’avvio del viceregno austriaco che durò fino al 1734. Il Papa non riconobbe Carlo III d’Austria come re di Spagna, determinando così una spaccatura tra Vienna e Roma e un accentuato atteggiamento anticlericale nel governo che emanò una serie di provvedimenti per risolvere la situazione edilizia, mossi però da ragioni lontane dalle necessità locali.
Intanto anche la società napoletana si apriva a idee anticlericali, infatti furono molteplici le richieste di risolvere la questione dell’edilizia ecclesiastica.
Nel 1717 Carlo VI concedeva finalmente di costruire liberamente nella capitale. Questo provvedimento però non ebbe gli effetti sperati, se non quello di rendere legali gli edifici costruiti nelle zone vietate. Motivo per il quale, la città continuò ad ampliarsi in modo molto disorganizzato e sempre problematico. Durante il trentennio del viceregno austriaco ci furono solo due interventi importanti a livello urbanistico.
Quindi anche questo governo nonostante le speranze che aveva alimentato, proseguì semplicemente con una politica moderatrice.
L’arrivo di Carlo
Quando arrivò Carlo a Napoli e dovette affrontare tutte queste problematiche, fu evidente che per una miglior espansione della città, dovevano essere annullati prima di tutto i privilegi del Clero.
Questa mossa, inoltre, doveva servire anche a ristabilire l’equilibrio finanziario del Regno, a cui non si sarebbe potuto arrivare senza la tassazione delle proprietà ecclesiastiche.
Si era poi diffuso sempre più un marcato anticlericalismo, soprattutto nelle classi dirigenti che in varie petizioni alle autorità, avevano avuto tendenze molto radicali nei confronti della Chiesa, che continuava a moltiplicare i propri edifici in città e accumulare ricchezze in una situazione di netto privilegio.
Così il 9 aprile 1740 una circolare del Ministero stabilì la sospensione di tutti gli edifici ecclesiastici in costruzione e l’obbligo del regio assenso per le future costruzioni religiose.
Fu inevitabile che questi provvedimenti compromettessero i rapporti tra il Regno e la Santa Sede.
Il Trattato di Accomodamento
Così nel 1741 fu stipulato il Trattato di Accomodamento, che cercava di risolvere una parte delle controversie legate ai rapporti con la Chiesa. Il trattato era stato promosso dal primo ministro Bernardo Tanucci, impegnato nell’affermazione della superiorità del moderno Stato laico sulla Chiesa e nell’abolizione dei secolari privilegi feudali della nobiltà e del clero nel Regno di Napoli.
Il concordato tra le altre cose prevedeva che anche il Clero avrebbe dovuto pagare le tasse. Si limitava, inoltre, il diritto d’asilo solo alle chiese consacrate e solo per alcuni reati.
Nel 1767, i Gesuiti furono espulsi dal Regno di Napoli e i loro ingenti possedimenti furono sequestrati e migliaia di ettari di terra ceduti ai contadini.
Papa Clemente XIII reagì a tale repressione scomunicando Tanucci, ma il ministro non pose fine alla sua azione: abolì la chinea, la tassa che il re doveva versare alla chiesa e dichiarò il matrimonio un contratto civile.
Una soluzione reale?
Nonostante tutti questi cambiamenti e le stangate date alla Chiesa da parte del tanto amato re Nasone, Napoli in questo periodo non registrò comunque cambiamenti importanti nel tessuto cittadino che riuscirono a migliorare la situazione abitativa.
Con l’avvento di Carlo ci furono tante premesse positive di carattere socio-politico per la ristrutturazione della città, ma anche in questo caso non ci fu nessun intervento di carattere globale.
La popolazione continuava sempre ad aumentare e la rete viaria che fu costruita esternamente alla città, aveva l’unico scopo di collegare meglio i siti reali, piuttosto che migliorare la viabilità per il commercio.
Tuttavia il nuovo re, un più vivo contatto con i maggiori centri europei, l’illuminismo e una cultura ispirata ai modelli francesi, comportarono un generale risveglio dal provincialismo del periodo vicereale.
Il problema però fu che i nuovi edifici voluti dal sovrano conferivano alla città il volto di una capitale europea, ma non rispondevano alle esigenze sempre più urgenti del popolo napoletano.
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