
Ad oggi la Galleria Borbonica, dopo svariati utilizzi, è visitabile, in quanto espressione massima di ingegneria militare. Con gli occhi dell’architetto Errico Alvino ci addentriamo nella storia di questo luogo meraviglioso e suggestivo.
Il timore del Re…
Il problema delle insurrezioni aveva fatto crescere una grossa preoccupazione a palazzo. Il timore che i rivoltosi potessero, in qualche modo, entrare a Palazzo e minacciare in qualche modo la sicurezza del sovrano si faceva sempre più reale. Lo stesso sovrano si mostrava, spesso, restio ad uscire.
I malcontenti erano cresciuti sempre di più, ma il sovrano del Regno non era riuscito a placarli. Con il suo consigliere aveva sempre cercato di trovare delle soluzioni, anche solo momentanee. Ma per i sudditi, queste azioni non erano sufficienti.
Preso dalla paura e dalla paranoia il sovrano decise di agire per proteggere se stesso e la sua famiglia. Con decreto commissionò la costruzione di un traforo sotterraneo che collegasse il Largo della Reggia a piazza della Vittoria. Le venne dato il nome di Galleria Borbonica proprio in onore del sovrano che l’aveva commissionata: Ferdinando II di Borbone.
Lo scopo dell’opera era privato. Sarebbe servito infatti ai sovrani a trovare una semplice via di fuga verso il mare in caso di attacco. Per giustificare tale costruzione però il sovrano la fece passare per opera pubblica, nonostante il suo fine militare.
La morfologia particolare della galleria…
La galleria avrebbe previsto due corsie con due marciapiedi ai lati. I due sbocchi sarebbero stati ad occidente sull’odierna Via Morelli, davanti alla caserma della Vittoria. A oriente si sarebbe aperta sull’attuale piazza Carolina, dietro la basilica di San Francesco di Paola.
Il semplice nome della Galleria avrebbe dovuto rendere omaggio ai sovrani. Per questo il corridoio verso Chiaia venne denominato Strada Regia e quello nella direzione opposta Strada Regina. I lavori cominciarono subito, per il forte timore del re.
Lo scavo fu costellato di problemi: la scoperta di un antico acquedotto, la morfologia irregolare del colle di Pizzofalcone. Il sovrano però ci vietò di fermarci, invitando tutti gli addetti ai lavori a concentrarsi. Per quanto possibile cercai di coordinare il tutto in modo che il tutto si concludesse più velocemente possibile.
Il 25 maggio 1855 il Re inaugurò finalmente la galleria. Fu un lavoro faticoso, ma il sovrano mi riconobbe gli sforzi. Affermò che fosse consapevole delle difficoltà incontrate, specie nel lasciare attive le due cisterne dell’acquedotto. Avevo, infatti, deciso di costruire due ponti distinti per superarli.
Unica pecca fu che poco dopo fui costretto ad interrompere l’opera perché la morfologia non mi permetteva di andare avanti. Tutti però ne furono affascinati: il popolo, ignaro del vero utilizzo, ebbe la possibilità di ammirarlo per tre giorni. L’incompiutezza della Galleria Borbonica impedì ai sovrani di utilizzarlo, ma fui sempre abbastanza orgoglioso della mia opera.
Questo brano, frutto di fantasia, racchiude la descrizione della Galleria e la sua storia. L’aria fresca che si respira al di sotto, la rende il luogo perfetto per una passeggiata estiva.
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