L’epidemia di colera che colpì Napoli nei primi anni 70′ costituisce ancora oggi un triste capitolo della nostra storia. Un doloroso ricordo che emerge in questo periodo segnato dall’emergenza Coronavirus. Anzi, si potrebbe pure azzardare a dire che proprio la pandemia da Covid-19 ci stia facendo (quasi) rivivere quei momenti che adesso ci apprestiamo a riscrivere in questo articolo.
L’incubo del colera
La nostra storia ha inizio nell’estate del 1973. Allora Internet non esisteva o meglio era una realtà primordiale nelle mani di pochi individui e la gente si svagava come poteva, magari con giochi all’aria aperta, passeggiando per le vie storiche della città, ascoltando le prime trasmissioni radiofoniche indipendenti oppure facendo “zapping” tra Rai Uno e Rai Due. Questi e tanto altro costituivano la normalità quotidiana nel napoletano.
Le cose cambiarono tra il 20 ed il 22 agosto quando morirono la ballerina inglese Linda Heyckeey e Adele Dolce. Inizialmente la situazione venne presa sottogamba e si pensa a due casi isolati di gastroensterite acuta. Ma altri due morti sospette avvennero nella zona di Torre del Greco che fecero presagire il peggio. Sarà solo il 28 dello stesso mese che si diffuse una notizia che nessuno voleva sentire: il colera era tornato a Napoli dopo una lunga assenza.
L’avventura epidemiologica del ’73
Ha così inizio una nuova drammatica pagina sanitaria per la città di Napoli. I cittadini si lasciarono prendere dal panico: nelle loro menti riecheggiarono le precedenti grandi esperienze del colera negli anni del 1837, 1884 e del biennio 1910-1911. La città sembrava ripiombare in un incubo lasciato indietro nel tempo o che per lo meno si credeva fosse isolato in quei paesi considerati poveri e sottosviluppati.
In quel frangente le autorità furono costrette a prendere drastiche misure per arrestare qualunque focolaio di contagio. Alla popolazione fu proibita il consumo di acqua di rubinetto, vennero chiusi cinema, ristoranti e qualunque luogo d’incontro e furono tagliati gli approvvigionamenti di molte derrate alimentari.
Nello stesso tempo gli enti pubblici si ritrovarono a gestire i disordini sociali. Le gente, infatti, si riversò tra le strade, le piazze ed i vicoli protestando per le deficienze municipali e per le precarie condizioni socio-economiche. Molti altri, invece, si asserragliavano fuori gli ospedali per avere notizie dei loro cari. Senza contare, poi, che il colera fece emergere i problemi più antichi di Napoli. La munnezza iniziava ad ammucchiarsi nelle strade, mentre le fogne sembravano vomitare i loro liquami fognari. Infine si diffuse un mercato nero di quei beni di prima necessità vendute a prezzi proibitivi, arricchendo quei pochi speculatori che furono gli unici a trarre notevoli profitti dalla situazione.
Arrivano i vaccini contro il colera
Per fortuna l’emergenza colera ebbe vita breve a Napoli. Grazie al supporto degli americani arrivarono per la città vesuviana le scorte vaccinali dando così inizio alla più grande campagna vaccinale dopo quella del 1943. Il personale sanitario, con il supporto dell’esercito italiano ed americano, riuscì a distribuire i vaccini a più di un milione di cittadini già nel giro di una settimana dall’inizio dell’emergenza. In poco più di un mese si poteva già dire che la situazione era sotto controllo, nonostante alcuni casi isolati segnalati il 21 settembre. Il bilancio (anche se vi sono alcune discordanze) è di 24 morti.
Alla ricerca di un colpevole
Ma come è stato possibile che Napoli sia ricaduta nell’incubo del colera? Inizialmente si pensava che le origini dell’epidemia derivino dalle cozze napoletane, uno degli alimenti più diffusi della città. La notizia assestò un duro colpo al mercato ed all’economia napoletana in generale, fortemente basata sulla pesca ittica. Anche i ristoranti risentirono degli effetti del crollo del mercato delle cozze, dato che buona parte dei piatti serviti era a base di pesce e molluschi.
In realtà si scoprirà che il colera si era diffuso sì per mezzo delle cozze, ma si trattava di una partita originaria della Tunisia. Sfortunatamente la realtà emerse in ritardo e l’allevamento ittico ne uscì gravemente compromesso. Il grande poeta Eduardo de Filippo dedicherà persino una poesia intitolata “L’imputata” per dare giustizia all’alimento napoletano accusato ingiustamente.
“<<Cara cozzeca tu staie nguaiate>> / decette o magistrato <<o fatt è chisto / ccà nun te salva manco Gesù Cristo/ o l’ergastolo o fucilata. / Qua ci sono le prove figlia mia / tu hai portato il bacillo del colera>>“
Sfortunatamente non mancano i pregiudizi sorti da questo triste capitolo che ancora oggi sopravvivono. Sono tanti gli anti-meridionali che strumentalizzano l’episodio per far valere le proprie posizioni. Non mancano, poi, i tifosi che nella loro goliardia utilizzano l’epidemia colerica come provocazione. Insomma, per alcuni il colera è un fatto che fa parte del vivere a Napoli perché è nella natura dei suoi cittadini vivere sommersi nell’immondizia. Si tratta di un pregiudizio figlio di quell’ignoranza e caro a tante persone che rinnegano il Mezzogiorno italiano.
Antonio Ferraiuolo
Fonti: Archivio “L’Unità”