“Fondamentalmente, non so cosa debba succedere per farsi sentire e iniziare ad essere considerati. Ci metto veramente il cuore sia quando danzo che quando parlo della danza. È un discorso che mi emoziona tanto, al di là della situazione di adesso, anche solo raccontare quella che è la mia storia, nonostante io non sia arrivata da nessuna parte e non mi sentirò mai arrivata”.
A parlare è Serena Bovino, una ragazza di 24 anni, che attualmente vive a Martano, un paese in provincia di Lecce. Una ragazza che, con gli occhi lucidi, mi racconta la sua storia. La storia di una bambina che ha sempre avuto il sogno di diventare una ballerina e fare della danza la sua vita.
Un sogno da tutta la vita
“Ho iniziato a studiare danza all’età di 8 anni a Zurigo. Ho studiato lì in una scuola di danza, dove ho fatto anche un’audizione, che ho superato, ma l’anno successivo mi sono dovuta trasferire in Italia e per questo motivo ho dovuto lasciare. Dopo un po’ di tempo, mi sono iscritta all’attuale Centro Danza Coreos di Cesaria Conte a Martano, dove ho studiato fino all’età di 19 anni”.
Serena racconta che la sua insegnante l’ha convinta a fare un’audizione per l’accademia di danza contemporanea di Michele Oliva e Francesca Dario a Verona.
“Ho preparato l’assolo per l’audizione solamente il giorno precedente e, di fatto, ho provato solo per gioco. Nonostante questo, sono stata presa, ma non ho considerato subito l’idea di trasferirmi a Verona, perché avevo iniziato a studiare in una facoltà che mi piaceva molto”.
Gli anni all’accademia di Verona
Quello che inizialmente frenava Serena era proprio la questione dello studio, visto dalla maggior parte delle persone come l’unico modo per realizzarsi nella vita. Per questo motivo, non sapeva come dire ai suoi genitori di voler interrompere gli studi universitari per studiare danza professionalmente. Tuttavia, dopo averci riflettuto a lungo, mi dice di essersi resa conto che, se avesse potuto scegliere, avrebbe senza dubbio scelto la danza, perché da sempre ci avrebbe voluto fare un lavoro.
“A quel punto, ne ho parlato con i miei, che mi hanno concesso di andarci e infatti è grazie a loro se ho fatto quest’esperienza. Ho studiato per 3 anni a Verona in quest’accademia, dove ho vissuto diverse esperienze che non mi sarei mai aspettata di fare: ci siamo esibiti all’Arena di Verona, ai Wind Music Awards per i Clean Bandit, al concerto di Alessandra Amoroso e a quello di Baglioni”.
Serena mi spiega che, secondo lei, scegliere la danza come professione non è per tutti. Devi avere un carattere forte, in grado di sostenere le critiche, le provocazioni e tanto sforzo fisico. Per lei, la danza rappresenta un importante percorso di crescita e oggi si sente davvero cambiata rispetto a quando ha iniziato a studiare.
“La danza mi ha anche insegnato come comportarmi al di fuori della sala e su questo non ci sono dubbi. Sono cresciuta tanto caratterialmente, mentalmente e artisticamente. E ho capito che era una cosa che dovesse far parte della mia vita quando mi sono resa conto che mi aspettavo sempre di più da me stessa. Mi sono resa conto che non era una cosa che mi stancava, anzi mi gratificava: certo, mi buttava spesso a terra, ma si tratta sempre di un mix di emozioni”.
Due professioni, ma un unico obiettivo
Serena racconta di svolgere anche un’altra professione per sostenere le sue spese, per continuare a studiare e per cercare di sostenersi economicamente da sola.
“Ho iniziato a lavorare in un bar all’età di 17 anni, perché volevo fare una settimana di stage a Taranto Danza (una manifestazione che si svolge annualmente nella città di Taranto) e volevo pagarlo con i miei soldi per evitare di chiedere una spesa importante ai miei genitori. Quindi, il motivo che mi ha spinto ad andare a lavorare è stato sempre lo stesso: la danza.”
Non ci sono dubbi sul fatto che Serena abbia sempre amato danzare. Dalle sue parole, trapela una forte emozione quando tenta di spiegarmi cosa significhi danzare per lei.
“L’unica cosa di cui sono certa è che nel momento in cui danzo, non per forza davanti ad altre persone, mi sento libera e consapevole di poter esprimere le mie sensazioni e i miei sentimenti al massimo. La verità è che, nella vita di tutti giorni, ho difficoltà ad esprimere i miei sentimenti: quando danzo, invece, riesco a farlo senza una corazza.”
Il ritorno in Puglia
Al termine dei 3 anni presso l’accademia a Verona, Serena torna a Lecce nel mese di giugno del 2019, appena diplomata in danza contemporanea.
“Da quando sono tornata a Martano, ho iniziato ad insegnare in alcune scuole di danza. Ero riuscita a mollare il bar e questa cosa mi stava dando tanto sollievo, perché stavo insegnando ad altri quello che avevo appreso. Mi ha sorpreso molto anche il fatto di essere stata chiamata da più scuole della provincia”.
Il suo vero intento era quello di fare varie audizioni per provare ad entrare in una compagnia di danza contemporanea e lavorarci. Tuttavia, non si sentiva ancora del tutto pronta a compiere un passo così importante.
Così, a metà ottobre del 2019, ha iniziato a frequentare un corso di formazione della durata di 6 mesi a Brindisi, finanziato dalla regione Puglia. Quello che ha spinto Serena a partecipare è stata l’apparente breve durata del corso e il fatto che si trattava di un corso intensivo. Tuttavia, è successo qualcosa per cui ha dovuto modificare tutti i suoi piani.
La danza e l’arrivo del Covid
“Arriva il 9 marzo 2020, il giorno critico. Io ricordo ancora che, quando si iniziava a parlare del primo caso di Coronavirus in Italia a fine febbraio, stavamo preparando uno spettacolo con gli insegnanti del corso. L’argomento centrale dello spettacolo era proprio il Coronavirus: volevamo far capire che tutto l’allarmismo che c’era in quel periodo era un po’ eccessivo, dato che in Italia non era ancora realmente arrivato. Ricordo benissimo che noi avevamo fatto appena in tempo a fare lo spettacolo il sabato 7 marzo al Teatro Verdi di Brindisi e il lunedì è stato annunciato il lockdown, con la conseguente sospensione di tutte le attività. Da lì, si è interrotto tutto”.
Durante la quarantena, Serena si allenava a casa e riusciva a fare qualche lezione online. Aveva anche pensato di organizzare delle lezioni all’aperto. Pensiero che poi ha dovuto abbandonare, perché, purtroppo, è necessario avere una propria scuola per fare una cosa del genere.
“Quindi, ho cercato di reinventarmi un po’, ma è stato difficile. Qualsiasi idea mi venisse in mente sembrava come fare un buco nell’acqua, perché non era possibile fondamentalmente fare nulla a causa della situazione in cui ci trovavamo. Per questo motivo, quello che mi rimaneva da fare era proporre delle lezioni online e allenarmi per conto mio a casa”.
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La danza dimenticata dal Paese
All’inizio della quarantena di marzo 2020, sembrava che l’arte ci potesse salvare. Ogni giorno, milioni di italiani si riversavano sui balconi per intonare cori, ballare, suonare strumenti ed esorcizzare, in questo modo, la paura del Coronavirus. C’era un pensiero comune che portava a credere che, se ci fossimo uniti, sarebbe andato “tutto bene”.
Tuttavia, col passare delle prime settimane, fra gli italiani è tornata la disillusione, la delusione e la paura. E l’arte? L’arte sembra essere stata dimenticata. In un post di Instagram di Alessandra Celentano – coreografa, insegnante ed ex ballerina italiana – del 19 febbraio 2021, si legge: “Le scuole di danza, i vari direttori ed insegnanti […] sono da sempre poco considerati dall’economia del Paese”.
“Fino a qualche anno fa, non ci pensavo neanche a questa cosa: andavo a danza, seguivo la lezione e finiva lì. Poi, crescendo e iniziando ad insegnare, ho capito come la danza sia considerata in Italia, anche vedendo com’è andata in questo periodo di lockdown. Mettendomi nei panni di insegnanti che hanno a carico una scuola, non lo so come hanno fatto a reggere. In quel periodo, leggevo un sacco di annunci su Internet con su scritto “Vendesi scuola di danza”, in tutta Italia, e non soltanto al Sud. Mi veniva un magone quando vedevo le foto di questi annunci e, per questo motivo, non posso far altro che condividere il pensiero della maestra Celentano”, commenta Serena.
La danza offre, senza dubbio, un valore aggiunto all’Italia, che all’estero è riconosciuta come un Paese ricco d’arte. Tuttavia, la categoria della danza non è stata tutelata al massimo nel periodo della pandemia. Serena è molto negativa e sembra quasi rassegnata nei confronti di questa questione. In effetti, mi conferma che non crede che la situazione possa migliorare per le figure del ballerino o dell’insegnante di danza.
Italia: luogo d’arte che dimentica l’arte
“Un giorno, parlavo con un signore di circa 50 anni, che secondo me rappresenta l’italiano medio per eccellenza. Stavamo parlando e mi ha chiesto cosa facessi nella vita. Gli ho spiegato che insegno danza e studio, ma che vorrei fare anche altre esperienze, per poi arrivare un giorno ad insegnare tutto quello che ho raccolto in questo periodo. Così, lui mi ha risposto: “Ma tu credi di poter campare con una passione del genere?”. Già il fatto che l’ha chiamata passione (e non lavoro) dice tutto”.
Parlando con questa persona, come con tante altre, Serena ha capito che la nostra società è fatta così. Qualsiasi forma d’arte, in Italia, è vista come una passione fine a se stessa. Secondo lei, la gente tende a pensarla in questo modo, perché non sa quanto lavoro e sacrificio ci sia anche solo dietro a un semplice passo di danza.
“Io so quanto ho studiato, quanto impegno ci ho messo, i soldi che ho speso. Devo ammettere che penso ci voglia molto più coraggio per fare il ballerino che per lavorare in un bar, per quanto io ci metta l’anima quando lavoro nel bar e non discrimino la figura del barista, anzi. La questione è una: la figura del ballerino cammina di pari passo con tutte le altre professioni. Per questo, la danza dev’essere riconosciuta per quello che è: non solo arte, non solo passione, ma un vero e proprio lavoro”.
Serena ha un volto contrariato: si legge chiaramente la rabbia che le provoca parlare di tutto questo. Inoltre, mi spiega tristemente che, in Italia, i problemi della categoria della danza sono anche altri. Ad esempio, mi dice che le compagnie di danza contemporanea sono veramente poche: la maggior parte di esse sono dei collettivi o delle compagnie molto piccole, non autosufficienti.
Quindi, se un ballerino o una ballerina lavorasse in una compagnia del genere, non potrebbe mantenersi unicamente con i soldi che guadagna danzando e dovrebbe trovare un altro lavoro. Ma fare un altro lavoro vuol dire sottrarre ore alle prove della compagnia: quindi, incastrare tutto sarebbe impossibile e controproducente. Invece, all’estero, ad esempio negli USA o in Olanda, l’artista è considerato come un lavoratore vero e proprio, ed è per questo che lì il danzatore può veramente fare della danza il proprio lavoro.
“Se devo essere realista, per la situazione che c’è attualmente, un mio futuro in una compagnia non lo vedo. Spesso evito di pensarci, preferisco ignorare un po’ il problema e vorrei avere la stessa grinta di prima, almeno per andare avanti e provarci, perché, se smettessi di provarci per colpa della situazione attuale, so che tra qualche anno me ne pentirei amaramente. Mi voglio imporre di pensare che il futuro sarà migliore di ora”.
Il supporto della famiglia
Quando chiedo a Serena della sua famiglia, le si illuminano gli occhi: mi dice che è stata molto fortunata, perché la sua famiglia l’ha sempre sostenuta, ancor di più dal momento in cui è partita a Verona per inseguire il suo sogno.
“È stata una grande fortuna questa. Avevo un coinquilino a Verona – ballerino come me – la cui famiglia non sempre l’ha sostenuto nella sua scelta. Vedevo che stava male e posso soltanto immaginare quanto sia brutto. Ma la verità è che ci sono milioni di famiglie che non sostengono il figlio che vuole fare l’artista (cantante, ballerino, attore o pittore che sia). La mia famiglia è sempre stata importante, perché, quando vedevano che non mi sentivo soddisfatta, mi sono stati molto d’aiuto, anche soltanto con una parola, non servivano grandi discorsi. Tante volte mi hanno pure fatto il “cazziatone” per farmi reagire ed era necessario. Hanno davvero saputo elaborare il tutto in maniera corretta”.
Il tema del contatto
Un tema molto importante per il mondo della danza, la cui concezione è cambiata con l’avvento della pandemia, è il tema del contatto. Serena mi spiega che è più grave di quanto possa sembrare: quando si studia in una sala di danza, un elemento fondamentale sono gli esercizi di “contact”, che servono soprattutto per aumentare l’affinità col partner.
“Ti faccio l’esempio di un esercizio stupido che facciamo: si chiudono gli occhi e semplicemente si tocca il compagno. Magari siamo considerati pazzi per chi ci osserva dall’esterno e vede quello che facciamo. Però, se ci metti l’anima e sei dentro a quello che stai facendo, lo avverti. Il fatto di non poter svolgere questi esercizi, che servono a stabilire un legame nel momento in cui si va a creare un passo a due o un’esibizione con altre persone, ha veramente un po’ spezzato il “filo” che si crea nella sala di danza. Ovviamente, anche nella vita quotidiana, abbiamo vissuto tutti la tristezza di non poterci abbracciare, salutare o dare baci: però, in sala, una cosa del genere la si soffre molto di più, perché va anche ad aggravare il livello della propria preparazione”.
Cambia il Governo, non il vizio
Chiedo a Serena se pensa che ci sarà, in qualche modo, un cambiamento positivo con l’avvento in Italia del Governo Draghi. Le chiedo se pensa che le scuole di danza e i ballerini in generale verranno tutelati e presi finalmente in considerazione. Lei mi guarda con uno sguardo ironico: capisco subito che la risposta non sarà positiva neanche questa volta.
“Ti rispondo nello stesso modo in cui ti ho risposto prima: sono molto negativa a riguardo. È pur vero che, all’inizio di questo nuovo Governo, si è fatto un cenno al mestiere della danza e dell’artista, cosa che ha fatto quasi scalpore. Purtroppo, però, penso che, nel momento in cui un Governo prende la situazione in mano, è giocare facile parlare di argomenti messi da parte dai propri predecessori. Siamo passati dal Governo Conte in cui non si è proprio trattato il tema, nonostante le numerose proteste e manifestazioni, ad un Governo Draghi che ha semplicemente nominato la fatidica parola “danza”. Io sinceramente non credo che la cosa cambi, ma neanche di una virgola.”
Serena spera profondamente che un giorno potrà “rimangiarsi” tutto quello che mi ha appena detto. Ma sembra convinta del fatto che anche questo Governo penserà prima di tutto a sostenere l’Italia in base a quelli che considera i settori fondamentali. Si riferisce alle aziende e alle industrie: una scelta comprensibile, a suo parere, ma rimane il fatto che i danzatori rimarranno “sempre le ultime ruote del carro”.
Il trauma del Covid nel mondo della danza
Quando l’intervista sta ormai per finire, Serena mi rivela che per lei è stato importante parlare di quest’argomento. Innanzitutto, perché è stato un buon modo per sfogarsi. E anche perché non ne parla mai, tranne che con la famiglia o con le persone che la sostengono o possono capirla.
“Sicuramente vorrei che le persone ascoltassero o leggessero le mie parole, però con coscienza e consapevolezza. Mi piacerebbe che, leggendo quello che ho raccontato, si potessero immedesimare come se fossero loro a parlare, come se la cosa toccasse loro profondamente. Mi piacerebbe che quanta più gente possibile leggesse questo, perché non è un discorso che riguarda soltanto me. Riguarda la stragrande maggioranza di noi ballerini italiani, che siamo sicuramente uno dei settori rimasti più traumatizzati da quest’ultimo anno”.
Reagire e perseguire il sogno
Serena è rimasta sorpresa nel vedere tutte le manifestazioni – organizzate da ballerini e insegnanti – che ci sono state nell’ultimo anno. Mi fa notare, inoltre, che sono state svolte in maniera molto ordinata e con una certa disciplina. E questo è un altro dei tanti insegnamenti che si apprendono grazie alla danza. Queste manifestazioni, svolte in tutta Italia, avrebbero dovuto far capire che tutti i danzatori e i loro insegnanti non hanno più la forza per resistere all’indifferenza nei loro confronti. Ma, chiaramente, i loro sforzi non hanno portato a nessun risultato. Giunte ormai alla fine della nostra intervista, chiedo a Serena di lanciare un messaggio per i ballerini di tutta Italia.
“La cosa che posso dire è questa: per quanto poca positività ci sia attorno a noi, per quanto so che è difficile non cedere ai pensieri negativi e allo sconforto, per quanto sia facile gettare la spugna, soprattutto in una società in cui non veniamo apprezzati, il messaggio che voglio lanciare è di combattere nonostante tutto, di fare quello che per noi è giusto. Se io voglio insegnare un domani, non voglio farmi condizionare dalla situazione in cui mi ritrovo oggi: non voglio che una situazione che adesso è più grande di noi possa prendere il sopravvento e schiacciarmi. Quindi, il messaggio che posso mandare è di non smettere mai e di fissare un obiettivo in mente, senza farsi distrarre da niente e da nessuno, né dalle voci che circolano, né dalle persone che ci criticano”.
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