“Mi sembrava che qualche cosa di nuovo fosse penetrato nel mio spirito, qualche cosa che non era mio, ch’ io stesso non sapevo bene spiegarmi che fosse, e che mi pareva di aver rubato, un po’ qua, un po’ la, a tutti quegli attori, che, dopo, di essere stati ascoltati, osservati e studiati per una sera intera, non finivano ancora di tentare e di sbalordire la mia curiosità infantile come mirabili e complicati meccanismi, di cui mi affaticavo a sorprendere il segreto con la stessa tenacia e la stessa smania indagatrice, che mi spingeva a rompere inesorabilmente i giocattoli più belli per scoprirne e cercare di comprenderne gli ascosì congegni”.
Così descrive la sua prima volta a teatro Eduardo Scarpetta, quando nel 1859, a soli sei anni venne condotto dal padre al San Carlino di Napoli, per assistere alla rappresentazione della “Ridicola campagnata de li tre Don Limune a lu Granatiello”. Nella sua autobiografia, “Cinquant’anni di palcoscenico”, il commediografo napoletano, racconta questo evento con dovizia di particolari, i quali, vividissimi, suggeriscono quanto determinante sia stato l’incontro con il teatro e quanto la sua vita sia stata segnata definitivamente da quel momento in poi: “per me oramai, non esisteva, non doveva, esistere che il San Carlino”.
Se è dunque vero che l’onda della commedia ha avuto un riverbero decisivo su Eduardo e sulla sua esistenza, è altrettanto pacifico affermare che, viceversa, la commedia napoletana, nonché quella nazionale, non sarà più la stessa dopo l’approdo sulle scene di Scarpetta. Quest’ultimo inaugura un filone autoriale che mutua dalle pochade francesi alcuni elementi, quali tra gli altri i soggetti e l’interpretazione a braccio, che però si fondono con aspetti propri e rinnovati della tradizione farsesca partenopea, e che trovano il loro efficace equilibrio nella cosiddetta Scarpettiana, dai meccanismi teatrali geniali, ancora oggi popolarissimi.
Non credo, di fatti, esista un napoletano in giro che non abbia apprezzato “Miseria e nobiltà” o che non conosca il personaggio di Felice Sciosciammocca, che eguagliò per fama la storica maschera di Pulcinella, i cui principali rappresentanti, Petito padre e figlio, furono grandissima fonte di ispirazione del nostro Eduardo.
La dinastia degli Scarpetta: DNA e dedizione
Possiamo, senza alcun dubbio, sostenere che siamo dinanzi ad un vero e proprio riferimento del teatro italiano, il quale registra un repertorio di inediti vastissimo, al pari dei grandi autori europei. Ma Eduardo Scarpetta è solo il capostipite di quella che può definirsi una delle dinastie più talentuose che la storia del teatro abbia mai conosciuto e che vanta generazioni di brillanti artisti. Certo, non si tratta di un albero genealogico facile da ricostruire, ma è estremamente interessante da approfondire dal punto di vista dei numerosi talenti che si sono avvicendati nel tempo.
Tant’è che un giovanissimo discendente lo ritroviamo oggi in tv, dove la settimana scorsa è andato in onda come protagonista del film “Carosello Carosone”. Eduardo Scarpetta, omonimo del suo trisavolo, nei panni del leggendario cantautore, risulta davvero credibile e si impone come degno erede di una famiglia di attori capaci e dotati, ed infatti il successo è scontato e la critica lo acclama.
Si legge nella sua capacità attoriale un lavoro minuzioso e continuo, proprio di quei figli d’arte a cui, ad una strada quasi segnata, non è stata risparmiata la dura fatica della gavetta, dello studio e del metodo. Lo stesso Scarpetta junior ha raccontato di aver intrapreso questa carriera giovanissimo, accanto al padre Mario, che molto aveva appreso a sua volta dal grande Eduardo De Filippo, il cui destino però ha previsto una prematura dipartita, morendo infatti ad appena 50 anni.
Un mestiere dunque, quello dell’attore, che la dinastia Scarpetta – De Filippo si tramanda da anni percorrendo il duplice binario del faticoso lavoro di apprendimento diretto sul palco (a molte giovani leve erano assegnate particine al fine di assorbire quanto più possibile dagli esperti, consentendogli di farsi le ossa sul campo) e dello studio intenso dei testi, che quasi del tutto fedelmente vediamo ancora oggi rappresentati.
Pertanto l’ultimo degli Scarpetta è giusto esponente della declinazione moderna di questo metodo collaudato, e non possiamo stupirci affatto di vederlo appena ventottenne protagonista in prima serata sulla rete nazionale. Avevamo avuto modo di apprezzarlo già come il Vincenzo in “Capri-Revolution”, di Mario Martone e come Pasquale Peluso ne “L’amica geniale”, serie tratta dall’omonima e fortunatissima opera di Elena Ferrante. Giovanissimo, eppure forgiato da tanti anni di teatro e tante occasioni al cinema, tra cui prossimamente nel film dedicato proprio al suo ascendente, che sarà interpretato da Toni Servillo.
Il talento come tradizione
È tracciabile pertanto un fil rouge, che mi piace pensare abbia avuto il suo innesto proprio quella sera del lontano 1859 e che ha percorso gli ultimi due secoli in maniera inarrestabile, consegnandoci un bagaglio di autentica cultura nostrana, che cammina ancora e sulle gambe di giovani talenti, che lontani dagli aspetti più mondani e trasgressivi dell’ambiente dello spettacolo, guardano ancora al teatro come un lavoro cui vale dedicarsi con tutte le proprie energie e con tutti i sacrifici necessari.
In conclusione, mi preme ricordare che quel San Carlino dove tutto ebbe inizio, di cui Scarpetta “non poteva proprio più fare a meno” e di cui anni dopo divenne il gestore, non esiste più dal 1884. Un punto su cui dovremmo fermarci a riflettere è quello per cui ancora oggi, dopo tanti anni, molte strutture teatrali soccombono dinanzi a scelte politiche e amministrative, proprio come allora. Il monito è sicuramente rivolto a una maggiore attenzione e cura degli spazi e dei protagonisti dell’arte, augurandoci di coltivare altre longeve e preziose dinastie di artisti.
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