In questa puntata della rubrica “A guardia della città” continueremo a parlare del Maschio Angioino, o Castel Nuovo. Ci occuperemo, in particolare, del suo periodo aragonese, che inizia nel 1442. Dopo la tormentata fase angioina, il dominio sulla città di Napoli (e su tutti i suoi castelli) passa in mano aragonese. Nel 1442 sale al potere Alfonso d’Aragona, detto il Magnanimo. Quello di re Alfonso fu un periodo di grande splendore per Napoli ed i napoletani.
Fu un sovrano illuminato, un mecenate che non aveva nulla da invidiare al coevo Lorenzo il Magnifico. Alfonso si adoperò per la fondazione dell’Accademia Pontaniana, una delle primissime accademie del Vecchio Continente. Per quanto riguarda la sua residenza, il Castel Nuovo, re Alfonso ne ordinò una radicale ristrutturazione. Fece costruire una quinta torre, comandò il rinforzamento di basamenti e merlature ed un consolidamento generale della struttura, soprattutto per renderla adeguata ai calibri sempre più grossi delle bombarde.
La Sala dei Baroni
Gli arredi subirono una ristrutturazione secondo il gusto catalano. Risale a quel periodo la struttura attuale della Sala dei Baroni, con gli eleganti costoloni che partono dal centro e si riuniscono alle mura perimetrali. L’appellativo dei Baroni risale al 1486, quando Ferrante d’Aragona, figlio di Alfonso, riunì tutti i baroni del regno, che stavano complottando contro di lui, inscenando una riconciliazione. In realtà, una volta che l’ultimo convitato ebbe fatto il suo ingresso, Ferrante fece sbarrare le porte ed ordinò l’arresto in massa dei nobili.
L’arco di trionfo
Ad Alfonso d’Aragona si deve anche un altro dei simboli del castello: il meraviglioso arco di trionfo collocato proprio all’ingresso. Esso è costituito da quattro ordini diversi, posti uno sopra l’altro. Il primo è il vero e proprio arco, inquadrato da due binati di colonne di stile corinzio-romano. Il secondo presenta un’alternanza di putti e figure mitologiche, che incorniciano l’altorilievo del trionfo. Il terzo presenta un altro arco, a tutto sesto, mentre il quarto è diviso in quattro nicchie, con le statue della Giustizia, della Temperanza, della Fortezza e della Prudenza. Sulla sommità è rappresentato l’Arcangelo Gabriele, nell’atto di colpire il demonio.
Il ritorno in auge
Negli anni che vanno dalla fine della dinastia aragonese all’avvento dei Borbone, il castello fu ripetutamente depredato e visse anni non particolarmente memorabili. Il periodo di grigiore fu spazzato via da Re Carlo di Borbone. Egli non vi abitò mai ma lo considerò una delle perle della capitale del regno. Nel 1799 il Maschio Angioino tornò alla ribalta: i Francesi lo scelsero per proclamarvi la costituzione della Repubblica Partenopea, non prima di aver rinchiuso un bel manipolo di realisti all’interno delle prigioni sotterranee. Risale, invece, al 1823 e si deve a Ferdinando I di Borbone la costruzione del ponte che congiunge il castello ai giardini di Palazzo Reale.
Oggi, il Maschio Angioino, pur avendo tutte le carte in regola per essere uno dei simboli della città, non è sfruttato come meriterebbe. La Sala dei Baroni è stata a lungo utilizzata come sede delle riunioni del Consiglio comunale e, talvolta, di quello regionale ed attualmente i locali del museo ospitano il Museo Civico. L’impressione è che il castello abbia un gran potenziale, non ancora sfruttato a pieno dai napoletani.
Peraltro, come ogni castello che si rispetti, ci sono moltissimi aneddoti riguardanti il Maschio Angioino, le sue segrete, le sue carceri, le sue leggende, ma per oggi abbiamo detto abbastanza. Ce ne occuperemo in una delle prossime puntate della rubrica.
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