Terra Madre. Inizia con questo spin-off la nuova rubrica mensile dedicata all’ecologia nelle sue mille sfaccettature, contesto in cui l’Uomo agisce legandosi alla Terra e riconoscendola come Madre, la quale accoglie anche quando è ferita e dà sempre più di quel che riceve.
La questione sulla riqualificazione del quartiere di Bagnoli si sta riaprendo dagli inizi di marzo. Lo yo – yo Bagnoli sì – Bagnoli no dura da trent’anni, è discorso masticato da molti, si sono proposte analisi e chiavi di lettura, è stato anche ispirazione artistica (indimenticabile la “Vendo Bagnoli” di Bennato).
Ma cosa c’era, “prima”? E cosa ci aspetta in futuro?
Le radici greco-romane
Balneolum, “Lo bagnuolo”, era in antichità una terma minuscola alle pendici del monte Olibano, molto apprezzata dai greci e dai romani non solo per le sue acque considerate dalle proprietà miracolose – vere e proprie “salus per aquam” – ma anche per la loro funzione sociale e culturale.
Le terme erano frequentate dal patrizio e dal suo seguito di schiavi, ma anche dal plebeo che potesse permettersi di pagare come prezzo un quadrante, moneta in bronzo che aveva il valore di una focaccia e un bicchiere di vino: le terme infatti non erano un lusso ma fondamenta della civiltà, in grado di elevare il cittadino più umile persino al di sopra di un cittadino rozzo e ricco.
I più antichi accenni storici di Bagnoli risalgono al XIII secolo con il “De balneis Puteolanis”, poemetto di Pietro da Eboli – dedicato probabilmente a Enrico VI – nel quale si scrisse che tutta la località aveva preso il nome delle terme. Nel 1538 a seguito dell’eruzione del Monte Nuovo, Balneolo viene completamente sommersa.
Fu grazie ai lavori di dissodamento nella proprietà del medico e politico Carmelo Patamia che l’antica sorgente di Balneolo venne riportata alla luce nel 1865, insieme ad uno stabilimento termale precedentemente esistito in loco.
Da centro benessere a città del ferro
Nel 1905 sorge lo stabilimento siderurgico di Bagnoli, denominato successivamente Ilva. Con milleduecento operai occupati entra in produzione cinque anni dopo. Negli anni a seguire lo stabilimento vedrà da una parte un’impostazione moderna della produzione, dall’altra continui scandali finanziari, al punto da vedere una prima chiusura nel 1920 e la riapertura solo quattro anni dopo sotto il Governo fascista.
Dopo i danni subiti col secondo dopoguerra all’impianto viene restituita la centralità produttiva e nel 1954 viene costruito a sud dell’Ilva l’altoforno della Cementir. Il nome Italsider verrà utilizzato a partire dal 1964 quando l’ambizione di puntare a farsi valere nella produzione mondiale si scontra con i vincoli della Commissione europea: l’azienda deve ridimensionarsi e vede il suo primo calo di produzione nel 1969.
Un cammino accidentato
Dopo le guerre mondiali, le lotte politiche e sociali, i processi economici che hanno scandito il cammino accidentato di Italsider, lo stabilimento di Napoli è simbolo del riscatto del Mezzogiorno. Ma negli anni ‘70 del secolo scorso inizia il declivio senza fine per Italsider: la concorrenza giapponese, l’avvento dell’informatica, gli errori di investimento, iI decentramento produttivo e i processi di deindustrializzazione, il diffondersi delle occupazioni flessibili.
Gli eventi dello scenario sociale dell’epoca immettono l’ex Ilva su un piano inclinato, che a metà degli anni ‘80 costringerà Napoli a vedersi sfuggire come sabbia tra le dita il sogno del Mezzogiorno industriale. Il 20 ottobre del 1990 si spegne l’ultimo altoforno; Italsider chiude ufficialmente nel 1992.
Dal 1994 iniziano fasi di bonifica a singhiozzo con appalti poco regolari, processi in secondo grado e fallimenti con relative prescrizioni, opere vandalizzate, fondi pubblici finiti in qualche tana del bianconiglio.
I progetti e le iniziative: la rivoluzione di Bagnoli
Dopo tante false partenze sono due i fattori che ci fanno guardare avanti. Uno è “Progetti per Bagnoli – tra paesaggio, industria e utopia” la mostra virtuale che dà il via ad una serie di iniziative per valorizzare l’area di Bagnoli, organizzata dalla Consulta delle Costruzioni di Napoli.
“Stiamo tentando di portare avanti con grande velocità il completamento di questo programma […] Nel tentativo di recuperare 30 anni persi e di riportare alla luce un territorio meraviglioso, che merita giustizia e occupazione, stiamo cercando di non perdere tempo su nulla. Il nostro impegno è incessante e quotidiano”. Sono le parole di Valentina Sanfelice. In seguito il commissario Francesco Floro Flores ha incontrato la ministra per il sud Mara Carfagna, per illustrare il quadro della situazione relativo a Bagnoli.
“Il progetto di rigenerazione urbana che portiamo avanti – ha detto Sanfelice – ascolta innanzitutto il territorio, mediante il coinvolgimento dei comitati civici in momenti salienti”. Ancora: “Siamo impegnati nei progetti di bonifiche, stiamo rimuovendo l’amianto nell’area eternit, le attività procedono con grande velocità.”
Ansa fa sapere che anche la ministra Carfagna si è pronunciata in merito: “Le risorse ci sono, serve la collaborazione di tutti. […]Abbiamo il dovere di lavorare per mantenere un impegno con i cittadini della Campania e di Napoli”.
Bagnoli non si vende: si lecca le ferite, ci perdona e si reinventa!
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