È drammatico assai, per un novelliere, girare dopo mezzanotte: e trovare degli uomini che dormono sotto il porticato di San Francesco di Paola, col capo appoggiato alle basi delle colonne: degli uomini che dormono sui banchi dei giardinetti in piazza Municipio; dei bimbi e delle bimbe che dormono sugli scalini delle chiese di San Ferdinando, Santa Brigida, la Madonna delle Grazie, specialmente quest’ultima che ha una scala larga e certi pogginoli ampi: nel centro di via Roma.
-Matilde Serao, “Il ventre di Napoli”
Recita così la testimonianza su Napoli di una delle più importanti scrittrice italiane del XIX-XX secolo. La città partenopea, in seguito all’assenza di un piano regolatore dai tempi di don Pedro de Toledo, giunse in un situazione critica nella seconda metà dell’Ottocento.
Fondaci, edifici fatiscenti e condizioni sociali ai minimi storici furono affrontati soltanto dopo l’epidemia di colera del 1884. Il Risanamento promosso in primis da Nicola Amore, Stanislao Mancini e Agostino de Pretis rivoluzionò i quartieri napoletani. Tra questi, il Rione Santa Brigida: il quartiere era nei pressi del Teatro San Carlo per poi scomparire. Scopriamo di più nella nuova puntata di Discover Naples!
Il Risanamento della città
Dopo l’epidemia di colera del 1884, finalmente anche Napoli viene ridisegnata. Il Piano di Risanamento viene realizzato nel 1885 e promosso da sindaco Nicola Amore, il Ministro degli Esteri Stanislao Mancini e il Primo Ministro Agostino Depretis. Affidato ad Adolfo Gianbarba, il progetto prende spunto dallo sventramento di Parigi del 1853 ad opera dell’architetto Boulevard Haussmann su incarico di Napoleone III.
Ben precise erano le richieste: sventrare i quartieri bassi (Mercato, Porto, Pendino e Vicaria) e i fondaci che erano stati i tristi protagonisti del degrado partenopeo. Oltre all’innalzamento del manto stradale, la zona orientale doveva avere nuovi nuclei abitativi. Un progetto già inizialmente paventato con Ferdinando II di Borbone che voleva far sviluppare il quartiere operaio nella zona orientale. Da qui dunque la nascita del Corso Umberto, da terminare in 10 anni: purtroppo però la scadenza e le modalità furono travagliate.
Tra i problemi evidenziati nel corso della seconda metà dell’Ottocento, vi erano le condizioni di miseria in cui versava il popolo napoletano. Per questo motivo, le nuove abitazioni del corso dovevano avere la giusta grandezza e il giusto costo. Tutti i napoletani avrebbero dovuto avere la stessa dignità sociale in una zona dove il nuovo stile liberty si stava andando a delineare. Ovviamente, ancora una volta, non furono rispettati i piani: basti pensare che la Società francese a cui furono affidati i lavori fallì, per cui il Banco di Napoli e la Banca d’Italia scesero in campo per fronteggiare la crisi economica della società.
Il Rione Santa Brigida
Approfittando del Risanamento, finalmente furono presi dei provvedimenti anche per altre situazioni in giro per Napoli. Come detto, l’ultimo piano regolatore risaliva alla metà del ‘500 durante il regno di don Pedro de Toledo con la nascita di via Toledo e dei Quartieri Spagnoli. Nonostante gli interventi di edilizia durante il periodo borbonico, soltanto a partire dal 1839 il figlio di Francesco I, Ferdinando II, cominciò a prendere provvedimenti per migliorare la città ad Occidente e Oriente.
Nell’ambito del Risanamento, dopo il piano regolatore bocciato del 1877, ci furono i collegamenti con il Vomero tramite via Falcone e con Posillipo tramite via Tasso nel 1884. Inoltre il collegamento tra la Stazione e le antiche porte della città fu fatto tramite il prolungamento di via Foria con piazza Carlo III per quel trittico di strade progettato da Errico Alvino per collegare il nucleo antico con la stazione, via Marina e Capodimonte. Dopo i primi provvedimenti per collegare via Toledo e il quartiere della cultura (Museo), andava migliorata anche la zona tra Piazza Municipio e Palazzo Reale.
In quella zona infatti vi era il Rione Santa Brigida, con le due dimore ecclesiastiche: la chiesa di San Ferdinando di Palazzo e dalla chiesa dei Lucchesi. Questi edifici, che mancano nella mappa de 1566 di Dupérac-Lafréry, delimitavano proprio il perimetro della settecentesca Via Santa Brigida e che in passato si chiamava Strada di San Francesco. Fino alla fine dell’Ottocento, il vico 2° a Santa Brigida formava, contiguo a quel che oggi è l’ex palazzo Capone, una sorta di T col vico 1° a Santa Brigida e ancora più che visibile i vicoli cinquecenteschi.
Le due chiese vengono riprese (senza cupola) da Alessandro Baratta nel 1629 ma è con la carta del Duca di Noja che si comprende la situazione disagiata del Rione. Come verrà descritto ampiamente da Schiavone e Pepe, nel Rione Santa Brigida (che prendeva il nome dalla chiesa degli Svedesi) abitavano ammassati più di 6500 persone in appena 14.200m2.
Riqualificazione e la scomparsa: lo splendore della Galleria
Ed ecco dunque il progetto di Risanamento in cui fu inglobato anche il progetto di rivalutazione del Rione. L’impresa Alvino-Giura nel 1871 aveva già provveduto a una parte della costruzione del Palazzo della Borghesia su Piazza Municipio ma questa doveva essere isolato unico tra le vie Santa Brigida, Verdi , San Carlo e Vittorio Emanuele III.
Soltanto nel 1887 il progetto fu concluso quando si trasformò l’area tra via Toledo, Largo del Castello, via Santa Brigida e piazza Trieste e Trento dove le chiese rimasero nonostante i progetti di abbattimento lasciandole dov’erano e con lo stesso stile. La scomparsa del Rione Santa Brigida avvenne nel 1890 quando si prese una decisione grazie al progetto di Paolo Boubèe, progettista peraltro del Gambrinus.
I luoghi sventrati del quartiere dovevano essere coperti con un’opera in ferro e vetro sulla falsariga dell’opera di Mengoni a Milano con la Galleria Vittorio Emanuele. I progetti di Alfredo Cottrau e Emanuele Rocco furono bocciati: il primo desiderava una galleria a Y mentre il secondo quattro palazzi con le coperture in ferro e vetro. Dunque, il simbolo della rinascita di Napoli doveva essere dimostrata con una grande cupola poggiando su quattro bracci. Con un pronao che creava uno slargo, si sarebbe dato la giusta visuale al Teatro San Carlo.
La Galleria Umberto I, intitolata al Re che fu a Napoli anche per una mostra sull’igiene, fu inaugurata nel 1892 e costruita in appena tre anni. Risolvendo anche il problema della rete fognaria, finalmente, la città partenopea ebbe uno spiraglio per tornare a respirare.
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