Il basket non è soltanto dei grandi. Lo sport in generale, l’istruzione e la famiglia sono i pilastri di ogni essere umano. Ed è questo l’obiettivo di Massimo Antonelli e il suo TAM TAM Basketball. Un progetto ambizioso, con un obiettivo preciso: aiutare quelli più in difficoltà, gli emarginati, provando a salvarli attraverso la palla a spicchi. L’ex campione italiano con la Virtus Bologna nel 1976, ha fondato insieme ad Antonella Cecatto, Pietro D’Orazio, Guglielmo Ucciero e Prospero Antonelli un progetto sociale in quel di Castel Volturno, vicino Caserta.
Dopo i servizi al TG1 e l’interesse dei media, anche il Corriere di Napoli ha avuto il piacere di intervistare un eroe del basket, che va oltre il gioco. Un attivista del movimento che ha migliorato e continua a migliorare la vita di tantissimi ragazzi provenienti dall’estero o nati in Italia ma di origini africane, insieme a tutto il team fatto di persone comuni. Ragazzi emarginati, salvati dalla criminalità e a cui viene data una speranza, attraverso la passione.
TAM TAM Basketball: la nascita della speranza
–Ciao Massimo e grazie della disponibilità! Da dove nasce TAM TAM Basketball?
-TAM TAM nasce 4 anni fa dalla volontà di 5 soggetti legati al basket, tranne mio fratello, grande appassionato. TAM TAM Basket, società fondata nel settembre 2016, grazie all’iniziativa oltre mia come presidente, di Antonella Cecatto (vicepresidente) ed ex giocatrice, Pietro D’Orazio (direttore generale) ex giocatore qui a Napoli, Guglielmo Ucciero e Prospero Antonelli. Abbiamo pensato a un’associazione per un’attività sportiva particolare in quel di Castelvolturno. Alla ricerca di una palestra, abbiamo visto tanti ragazzini africani che non potevano fare sport poiché avevano difficoltà economiche, ma tanta voglia di giocare.
Il progetto nasce come progetto sportivo ma è anche sociale in quanto l’intervento di TAM TAM aiuta su tutto: dall’assistenza medica a quella psicologica, sino all’abbigliamento sportivo oppure i problemi nel rientrare a casa. TAM TAM la raccontiamo quotidianamente riuscendo a dare speranza a tante persone. Abbiamo anche creato un pulmino grazie a una raccolta fondi a cui hanno partecipato diverse persone e associazioni come “Progetto Progresso”.
–Il nome è piuttosto curioso: qual è il suo significato?
-Il nome della società nasce da diversi significati: il rumore della palla di quando batte a terra, la comunicazione per valorizzare il talento dei ragazzi, le emissioni di uno strumento musicale e il battito del cuore che dà anima e valori alla società. Quest’ultima permette di avere dei valori e rappresenta molto sia per gli atleti che per coloro che vivono la società. Tutti sono parte integrante della società: veri e propri tifosi che permettono di far sta bene. TAM TAM è di tutti.
La lotta con la FIP e il campionato vinto
-Non sei stato soltanto un campione di basket ma soprattutto hai lottato con la Federazione Italiana Pallacanestro e non solo per migliorare la condizione dei tuoi ragazzi…
– Quando nel 2017 volevamo iscrivere la squadra ai campionati giovanili, la FIP non ci voleva iscrivere perché non potevano giocare più di 2 stranieri per squadra. Con il nostro “tam-tam” e quello dei giornali, da quelli locali all’Equipe al The Guardian, dei social, abbiamo ottenuto quello che volevano togliere: l’inclusione e lo sport ai giovani. Quindi c’era un problema importante alla base.
Grazie al nostro supporto, circa un milione di atleti stranieri minorenni ora possono giocare. Quando il Ministro dello Sport era Luca Lotti, i giovani che avevano svolto almeno un anno scolastico in Italia, potevano fare sport. Con la legge di Vincenzo Spadafora invece tutti i ragazzi nati in Italia ora possono disputare i campionati giovanili. A livello regionale non ci sono limiti, ma a quello nazionale ci sono ancora queste limitazioni e quindi non partecipammo al torneo nazionale dopo la vittoria del campionato regionale. Spero che in futuro si continuino a ottenere risultati importanti per questi ragazzi.
–Dunque avete vinto un campionato regionale, ma quante squadre avete formato?
-I ragazzi hanno 13-14 e 18 anni: stiamo aspettando di aprire una seconda palestra per aggiungere ai 40 ragazzi altri 60 dato che abbiamo una folta richiesta ma non abbiamo spazio. L’obiettivo è creare anche una squadra femminile e incentivare il Baskin (uno sport dove giocano insieme disabili e normodotati, ndr) come basket inclusivo promosso dal nostro coach Vittorio Scotto.
Abbiamo due gruppi che si allenano mentre l’anno scorso erano tre squadre: l’under 15 e l’under 18, che hanno disputato due campionati competitivi. I coach Vittorio Scotto e Antonio Vetrona hanno vinto il campionato regionale under 15 con 64 squadre nel giorno del mio compleanno, ma purtroppo non c’ero perché in Svizzera per seguire un torneo di 3 VS 3 organizzato dalla FIBA. Una vittoria di tutti, anche di persone che non sono dell’associazione. Come nel caso della finale quando hanno tifato anche genitori dei cestisti di una squadra casertana che aveva perso in semifinale contro di noi.
Le difficoltà non fanno paura
-Le difficoltà non fanno paura e l’avete dimostrato più volte come hai raccontato con la lotta per far giocare i tuoi ragazzi. Ma immagino che i problemi ci siano anche visto il vuoto delle istituzioni…
–Spesso venivano ad allenarsi a piedi perché non avevano nemmeno l’auto. Si tratta di una grossa comunità, almeno la metà della popolazione di Castel Volturno: un grosso porto dove anche persone irregolari restano intanto lì. Sto dando una grossa mano per cercare di migliorare le loro condizioni e quella dei genitori considerando che si tratta di una società.
Abbiamo dato pari opportunità a questi ragazzini come i loro coetanei, coprendo il vuoto delle istituzioni:sono ragazzi che hanno vitalità e deve sfociare in qualcosa di positivo. Per questo motivo abbiamo deciso di dare la possibilità di crescere nel miglior modo possibile considerando che sport, scuola e famiglia sono i veri pilastri che non devono mancare nella formazione delle persone.
–C’è anche un altro ostacolo oltre quelli citati, o meglio la pandemia: come la state affrontando?
-Con il lockdown siamo fermi e con dei ragazzi vivaci tenerli in casa non è semplice: per cui abbiamo deciso di consegnare dei canestri attaccati sotto casa. 21 canestri 32 palloni e 40 paia di scarpe regalati della Fondazione Decatlhon: un modo per combattere il lockdown, non solo per loro ma anche per le famiglie.
Music Basketball Method
–Non soltanto la carriera da giocatore, ma soprattutto quella di attivista del movimento: infatti, hai creato anche un nuovo modo per allenarsi…
–Music Basketball Method è un metodo musicale per migliorare e insegnare i fondamentali con la musica: un nuovo metodo perché la musica dà ritmo, permette di rilassarsi, di equilibrare e velocizzare il modo di giocare attraverso beat musicali che cercheremo di utilizzare presto anche a Castelvolturno per un progetto a cui dovrebbe aderire anche l’Università Federico II per uno studio scientifico del metodo.
Scudetto e Napoli Basket
-Dopo aver parlato dell’attivismo, è giusto omaggiare anche la tua carriera: quanto ti ha dato lo Scudetto a Bologna?
–Sono stato fortunato a vincere lo Scudetto a Bologna dopo tanta gavetta e l’esperienza nelle Nazionali giovanili. Il basket mi ha dato tanto e un esempio è quello della Virtus Bologna dove abbiamo vinto anche una Coppa Italia, giocando ad alti livelli nazionali ed europei. Quell’esperienza mi ha aiutato a cercare sempre di primeggiare e migliorare nella vita e lottare, come nel caso di TAM TAM. Provare ad emergere è frutto di quella determinazione ottenuta con la mia carriera da giocatore.
-Infine Napoli: un’esperienza che ti ha colpito tanto. Infatti alla fine sei rimasto a vivere all’ombra del Vesuvio…
–L’esperienza napoletana è stata fantastica soprattutto per il calore delle persone: ho avuto un impatto pazzesco, anche perché coincise con il terremoto del 1980. Non sapevamo nemmeno come allenarci, fummo volontari ad Avellino io e D’Orazio. Eravamo una grande squadra, scorbutica e tutti dovevano inventarsi qualcosa per batterci. Ho vissuto le promozioni pur non vincendo nulla: sono stato fortunato ma c’è qualche rimpianto per non aver vinto l’A1. Un grande ambiente: la gente, il mare e il contagio dello sport mi hanno obbligato a restare nella città del Sole!
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