Partiamo da un assunto semplice e immediato: nessuno è stato capace di imprimere a quel complesso fenomeno culturale che è l’arte in sé e per sé una forza tale come ha fatto Caravaggio. Una forza così forte da creare un movimento come quello dei caravaggeschi che ha dominato il Barocco.
Rivoluzione
Caravaggio ha rivoluzionato la pittura barocca con i suoi elementi cardine come i giochi di luce e ombra che creano stacchi e giochi cromatici complessi, l’estremo realismo delle scene dove la tensione, anche muscolare delle figure si sente a pelle in prima persona.
Questi elementi e tanti altri che caratterizzano il Caravaggio sono salienti anche nei caravaggeschi che a loro modo hanno reinterpretato innovando questo linguaggio riproponendoli come maniera nuova e innovativa della pittura.
Basti pensare alla Giuditta che decapita Oloferne di Caravaggio e quello di poco successivo di Artemisia Gentileschi. Si tratta di due opere che trattano lo stesso soggetto in un linguaggio espressivo molto simile, ambienti bui illuminati dall’alto e che mettono in risalto la scena della rivalsa dell’oppresso sull’oppressore. Eppure sono diversi in una visione che da Caravaggio va nella sorpresa di Oloferne e la quasi indecisione di Giuditta con una certa espressività dei volti, arriva alla decisione ferma e la tensione tagliata quasi con la stessa lama con cui Giuditta e la serva tagliano la testa a Oloferne tenuto giù con vigore nel dipinto di Artemisia. Un’espressività rinnovata seguendo i canoni del Maestro, questi sono i caravaggeschi.
Caravaggeschi napoletani
Caravaggio soggiornò diverse volte a Napoli, tante volte da poter lasciare tante tracce utili per chi volesse seguire il suo seminato. Nell’ambito del Seicento Napoletano venne a svilupparsi un vero e proprio movimento di caravaggeschi in città tali da poter competere in bravura con il capostipite, inconsapevole, del movimento. Quello che si ritrova maggiormente nei caravaggeschi napoletani sembra essere, tra le altre cose, quello stile detto anche tenebrismo, delle ultime opere dell’artista in cui le atmosfere cupe, tetre, ricche di un certo pathos, ma anche
un vero e proprio “movimento nel buio” erano ricche.
Luce e buio
L’ambiente degli artisti napoletani di inizio XVII secolo non era indifferente a Caravaggio, anzi, probabilmente ne fu riccamente influenzato e ammaliato sin dalle Sette Opere di Misericordia. Seguendo la storiografia artistica canonica il primo caravaggesco che si fa notare a Napoli, già nel 1610, è stato Carlo Sellitto con Maddalena Penitente, oggi a Capodimonte. Nella “Maddalena” del Sellitto è dominante la costernazione e il dolore della donna con uno sguardo a metà tra il riflessivo e l’essere perduti nei propri pensieri. La figura, come nei dogmi di Caravaggio è illuminata da una fonte di luci in posizione obliqua dall’alto che mette in risalto il chiarore della donna e i capelli rossicci mentre poggia sul teschio.
Tra i caravaggeschi coglie ancor meglio ne coglie ancor meglio i dogmi Battistello Caracciolo artista che in vita ebbe anche la possibilità di stringere conoscenza con Caravaggio e di avere una corrispondenza epistolare con questi.
Sono tanti i dipinti che potrebbero essere portati a esempio di similitudine tra Caracciolo e Caravaggio, in questo caso ci soffermeremo sulla Sacra Famiglia del 1617 nella chiesa della Pietà dei Turchini. Nel dipinto di Caracciolo l’impianto ricalca molto quello delle Opere di Misericordia con la famiglia che si muovere in un ambiente che potrebbe ricordare uno dei vicoli bui della città guidati dalla figura sorretta dalla “nuvola” di angeli esattamente come avviene nella pala del Pio Monte. I riferimenti cromatici, poi,
sono esattamente quelli caravaggeschi con un richiamo ai toni caldi del rosso immersi nel buio e messi in risalto dalla luce forte, così forte da riflettersi sulla pelle dell’angelo in alto.
Jusepe de Ribera, invece, è stato tra i caravaggeschi forse quello che più ha improntato la propria pittura verso il tenebrismo dell’ultimo Caravaggio,
basti pensare al Sant’Andrea nella Quadreria dei Girolamini. Il ritratto del santo, in piena estasi mistica, è quella di un anziano mostrato con un’estrema accuratezza nei dettagli, che assieme a un uso sapiente della luce, lo rende ancora più naturale. Si tratta di una figura naturale, rinsecchita, ma ancora tonica volendo, dai capelli radi e la barba lunga, pieno di rughe messe in evidenza dalla luce. Il sapiente uso della luce in un ambiente buio, forse ancor più delle altre volte,
in cui il soggetto sembra essere vestito di nero, o meglio dell’oscurità circostante,conforma quest’opera al canone del tenebrismo del tardo Caravaggio.
Questi sono soltanto alcuni, i più famosi, ma probabilmente potremmo annoverare tra i caravaggeschi napoletani anche Filippo Vitale, Fabrizio Santafede maestro di Caracciolo, Paolo Finoglio, il fiammingo Louis Finson e tanti altri.
In sintesi il caravaggismo è stato caratterizzato da un forte naturalismo e attenzione per i dettagli, per la resa cromatica in chiaro-scuro alla maniera del Caravaggio non imitandolo, ma rielaborando i suoi stilemi in maniera personale.
Nella prossima puntata parleremo di Spirits di Rebecca Horn.
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