Sergio Del Prete, napoletano, classe ’86. Attore inarrestabile, giovanissimo ma che vanta già un solido percorso artistico. Prossimamente in scena con il suo “Sconosciuto. In attesa di rinascita”. Si definisce stacanovista e curioso, e del suo rapporto col teatro dice:
“Io continuo a fare il teatro perché quel coinvolgimento emotivo che provo da quando ho iniziato, da quando ho 16 anni, mi ha formato, mi ha strutturato come uomo. Sono questo grazie a quello che faccio”
Noi di Corriere di Napoli abbiamo avuto il piacere di incontrarlo per rivolgergli qualche domanda.
Sergio Del Prete: talento e tanta curiosità
-Buonasera Sergio e grazie per averci incontrato. Raccontaci di te, parlaci del tuo percorso.
–Buonasera a te Roberta. Dunque, il mio percorso è iniziato in maniera del tutto naturale. Ho incontrato il teatro a 16 anni, in un laboratorio a scuola. Mi sono ritrovato emotivamente coinvolto e letteralmente travolto da questo vortice. Da lì con gruppi di amici abbiamo iniziato a fare qualche spettacolo. Ho continuato con un laboratorio presso il Teatro De Rosa di Frattamaggiore e così a coltivare una mia rete di conoscenze e a studiare tanto.
Ho frequentato molti laboratori e workshop, per questo ho avuto diversi insegnati e da ciascuno ho attinto qualcosa, così da formarmi pian piano. All’inizio provavo a scrivere spettacoli miei e tentavo di inserirmi in contesti lavorativi più solidi. Nel frattempo, mi sono laureato in Scienze della Comunicazione ma ho il rammarico di non aver mai consolidato i miei studi in un’Accademia di teatro Nazionale, per una serie di motivi personali. Fortunatamente questo è un mestiere che da modo di formarsi anche in altri modi, considerando che richiede uno studio continuo e costante. Posso sostenere senza smentita che solo chi studia sul serio va avanti.
Nel mio percorso una persona che senz’altro mi ha fatto conoscere il teatro come mestiere e come “mangiatore di palco” è Ernesto Lama, oggi mio carissimo amico. E’ un grande punto di riferimento per me soprattutto per la sua storia. Ernesto il palco lo conosce a memoria, e ti insegna, semplicemente facendosi osservare, tutto ciò che c’è da sapere su questo lavoro.
Fortunati sono stati anche gli incontri coi registi Francesco Saponaro, Mimmo Borrelli, Michele Monetta e la collaborazione con il Teatro San Carlo di Napoli, come attore del laboratorio dei San Carlini. Nel 2016, poi, con Roberto Solofria, che avevo conosciuto al Teatro Civico 14 di Caserta, è nato uno spettacolo a me molto caro: “Chiromantica ode telefonica agli abbandonati amori” tratto dalle opere di Enzo Moscato, Giuseppe Patroni Griffi, Annibale Ruccello, Francesco Silvestri, quattro autori fondamentali degli anni ’80.
Questo allestimento mi ha segnato molto perché c’è esattamente la mia visione del teatro in questo spettacolo e cioè di un teatro essenziale, dove l’attore diventa tutto ed è al contempo elemento scenico, testo, autore, il centro del mondo messo al servizio di chi lo assiste. Abbiamo rappresentato l’intreccio di store di travestiti prostitute perché ci interessava mettere in scena vite maltrattate, quelle ai margini della società e quindi allontanarci da un teatro borghese, per raccontare di eroi ed eroine nascoste.
Grazie a questo spettacolo approdo al Teatro Piccolo Bellini e qui prendo parte ai provini di “Fronte del porto” per la regia di Alessandro Gassman e successivamente vado in scena con “Le cinque rose di Jennifer” con Daniele Russo, per la regia di Gabriele Russo. Purtroppo, le repliche di entrambi gli spettacoli sono state interrotte a causa del Covid. Riprenderemo dal 18 al 23 Maggio con “Le cinque rose di Jennifer” presso il Teatro Gobetti di Torino. Ricominciare dopo tanti mesi credo sarà senz’altro strano, perché il teatro è per antonomasia un luogo che accoglie e avvicina, e non è solito mantenere una certa distanza col pubblico.
-Come hai vissuto le interruzioni dovute al Covid?
-Ci si è trovati in una difficoltà non naturale. Questo è un lavoro che ha delle difficoltà insite, un senso di precarietà, ma comunque difficoltà contemplate. Quest’anno è stato messo davvero a dura prova l’aspetto psicologico di ciascuno di noi, oltre a vivere con la paura del virus. Un anno di grande incoerenza nei confronti di questo lavoro.
Comportamenti contraddittori che, ahimè, non sono nuovi verso questa categoria perché sono già troppi anni che l’attore non è qualificato come un vero lavoro ed ora è venuta a galla qualcosa che ci trasciniamo da tempo. Si dice solitamente che con la cultura non si mangia, questo giustifica tanta trascuratezza rispetto a questo settore. A mio avviso questa premessa è sbagliata. Si è abituati a “mangiare molto, e molto male”. Gli spettacoli muovono molti comparti, moltissime figure, operatori, addetti ai lavori. Se si considerasse questo ci si renderebbe conto, al contrario, che la cultura fa mangiare moltissime persone.
-Quali sono le sfide più grandi che incontra un aspirante attore?
-Una grossa sfida è la competizione, ma ancor di più capire di non doverla calcolare eccessivamente. Bisogna focalizzarsi molto sul proprio percorso, seguire il proprio istinto artistico, e riconoscersi in un “proprio teatro”.
Un’altra sfida è la paura del fallimento, che oggi sembra qualcosa di spaventoso e devastante. Oggi siamo terrorizzati dal fallimento perché per la società se non sei perfetto sei fuori. Ed invece il fallimento è possibilità, l’imperfezione è caratteristica che dice qualcosa di sé.
Difficile è anche dover lavorare a volte con persone che non ti fanno lavorare con serenità, o come vorresti. Ma ogni lavoro serba criticità, per cui è necessaria la volontà e la motivazione.
-Hai dei progetti in cantiere?
–Attualmente sto lavorando alla regia di un mio spettacolo, che debutterà il 30 Giugno per il Campania Teatro Festival. Il testo l’ho iniziato a scrivere durante la pandemia quasi inconsciamente e si tratta di un monologo.
Questo non significa che sia da solo, ci sono diverse figure che stanno collaborando con me: c’è uno scenografo, un costumista, un aiuto regia, e musica dal vivo. Per ora mi sono cimentato solo con regie di spettacoli miei, innanzitutto perché io sono un attore, e in virtù di questo riesco ad essere autore del personaggio che metto in scena, col mio lavoro, con la mia creatività, col mio corpo.
-Come ti definisci come attore, se può esserci una definizione?
–Non mi riconosco in un genere. Ritengo sia tipico della tradizione italiana associare un attore ad una categoria. Certo un genere magari ti rappresenta più di un altro. Personalmente mi piace fare spettacoli comici, così come lavori impegnati. L’attore è il tramite, è un veicolo tra un mondo e lo spettatore, e non mi sento di definirmi in qualche modo che non sia questo. Posso dirti che senz’altro sono uno stacanovista che vuole conoscere sempre di più, sono un attore curioso.
-Quanto sacrifica una persona fare questo lavoro?
–Da sempre ho sostenuto che non si tratti di una scelta lavorativa, ma di vita. È un lavoro che ti coinvolge emotivamente, e se questo coinvolgimento non ti pesa al punto da dedicartici, gestire il resto può essere difficile. Gli attori sono persone molto deboli, molto sottili, e sul palco sono capaci di cose che probabilmente nel privato non riescono a fare. Io continuo a fare il teatro perché quel coinvolgimento emotivo che provo da quando ho iniziato, da quando ho 16 anni, mi ha formato, mi ha strutturato come uomo. Sono questo grazie a quello che faccio. Si tratta anche di un riscatto per me, perché in un contesto dispersivo come quello della provincia in cui sono cresciuto, non perdersi è determinante, e poter dire “io sono questo, posso fare questo”, ti cambia.
-Oggi qual è il tuo sogno?
–Il mio sogno è continuare a fare questo lavoro e avere una continuità, al punto da poter vivere di questo. Tu cresci quando fai, quando realizzi, quando lavori sempre di più. Dunque, il mio progetto è continuare a fare questo e soprattutto poter scegliere, poter fare spettacoli che mi piacciono, che mi incuriosiscono e permettermi qualche “no” rispetto a spettacoli che non sento di voler fare.
Noi del Corriere di Napoli congediamo l’attore Sergio Del Prete dopo averlo nuovamente ringraziato. Ricordiamo ai lettori il debutto del suo testo inedito il 30 Giugno per il Campania Teatro Festival e invitiamo tutti voi a seguirlo sui suoi canali social.
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