A rendere possibile l’aborto in Italia fu la legge 194 del 1975, approvata dal Parlamento e convalidata dal referendum abrogativo, passato con il 68% dei votanti.
Da quel momento la legge è stata applicata, in linea di massima, ma ha dovuto fare i conti con difficoltà create dal fatto che essa stessa prevede la possibilità dell’obiezione di coscienza. In effetti un’altissima percentuale di ginecologi si avvale di questa possibilità, superando l’80% in alcune regioni del sud.
Una scelta dettata talvolta da convinzioni religiose, ma più spesso da considerazioni di opportunità e di carriera. Capiamo bene quindi che la possibilità data dalla legge di poter obiettare, nega di fatto il diritto all’aborto.
Il tutto è inoltre accompagnato da un dato ancora più preoccupante: solo il 60% delle strutture ospedaliere con reparto di ostetricia, prevedono un servizio di IVG (interruzione volontaria di gravidanza). Una percentuale che in Campania scende sotto la soglia del 30%.
Per tutte queste problematiche, nelle ultime settimane a Napoli, è nato ‘Ccà nisciun’ è fessa, un progetto che vuole guidare nel difficile percorso dell’IVG. Per capirne di più, abbiamo intervistato una delle fondatrici, la dott.ssa Serena Mammani, che ci ha raccontato come è nata l’idea e quali sono i loro progetti per il futuro.
La nascita del progetto
Una questione delicata come questa, è stata sempre a cuore al gruppo di ragazze e ragazzi impegnati in questa nuova rete sociale sul territorio. Interfacciandosi e coinvolgendo anche altre realtà sul tema, come quella di Obiezione Respinta a Pisa che si propone di sviluppare una mappatura dell’obiezione di coscienza in Italia, è nato e cresciuto questo progetto di cui Napoli aveva tanto bisogno.
Serena ci racconta che il loro primo passo è stato quello della formulazione di un questionario da sottoporre per mappare i servizi offerti dai consultori e dai centri IVG sul territorio di Napoli. Ricordiamo, infatti, che i consultori non sono tutti uguali e non hanno tutti gli stessi servizi.
L’elevato numero di risposte al questionario, ha reso ancora più chiaro quanto il tema sia molto sentito da una grande fetta di popolazione. È quindi sempre più evidente la necessità di agire.
“Paradossalmente esistono i consultori, che talvolta funzionano, ma non sono mappati adeguatamente e spesso le persone non sanno neanche dove andarli a cercare. Inoltre un dato emerso dai questionari è che non c’è la cultura del pubblico. Chi se lo può permettere, tende ad andare dal ginecologo privato un po’ per disinformazione e un po’ perché c’è l’idea che nel pubblico i servizi siano carenti..e a volte è davvero così.”
Sì, infatti un’altra problematica è anche quella dell’inefficienza dei servizi sanitari rispetto al nord del paese, che insieme al numero maggiore di obiettori, rilega il sud e, in particolare la Campania, ad una posizione davvero problematica rispetto all’IVG. I consultori, inoltre, sono una realtà in cui si investe davvero poco. Per questo motivo sono stati molteplici i centri a chiudere definitivamente, lasciando intere zone senza un punto di riferimento.
L’obiettivo
“Il nostro scopo non è quello di sostituirci ai servizi pubblici, ma orientare ai servizi pubblici affinché il tutto sia meglio organizzato. Vogliamo costruire una rete di contatti per evitare ulteriori stress, come stare giorni al telefono.”
Quindi da un lato si vuole accompagnare nel complicato iter coloro che lo richiedono, dall’altro si vuole informare dove le informazioni sono precarie. A questo scopo è stata creata anche una pagina Instagram con contenuti sul tema.
I disservizi organizzativi causati dalle strutture pubbliche, sono un’ulteriore difficoltà che si affiancano ad una situazione psicologica pesante con cui le donne devono fare i conti a causa di una rappresentazione sociale dell’aborto che colpevolizza coloro che lo richiedono.
Parliamo delle cosiddette violenze ostetriche, ritenute la forma più invisibile e naturalizzata della violenza contro le donne che, in questo caso, si verifica all’interno dei sistemi sanitari. Il termine si riferisce all’abuso che avviene nell’ambito delle cure ostetrico-ginecologiche e che può essere realizzato da tutti gli operatori sanitari che prestano assistenza e non solo dalle ostetriche come fa pensare il nome.
Da cosa ripartire?
“L’altra parte di questo discorso riguarda un altro problema: l’educazione sessuale.”
Rispetto a questo si è scelto troppo spesso la strada del silenzio che non fa altro che accrescere i tabù condizionando in senso negativo i processi di crescita. Fornire ai giovani informazioni, competenze e valori positivi per comprendere la propria sessualità, intrattenere relazioni sicure e gratificanti, comportandosi responsabilmente rispetto a salute e benessere sessuale, è la strada che Ccà nisciun’ è fessa vuole intraprendere.
Nella consapevolezza che è fondamentale un lavoro informativo nelle scuole, fanno parte del progetto diverse ragazze dei licei, che saranno un vero e proprio ponte per l’educazione sessuale scolastica in situazioni come autogestioni o assemblee di istituto. È questa senza dubbio la base da cui ripartire.
Per il futuro dell’S.O.S. Aborto Napoli, si ha in calendario uno sportello informativo in presenza almeno una volta a settimana e gruppi tematici per discutere di specifici aspetti. Inoltre la volontà è quella di attivare anche una linea telefonica apposita, uno sportello che abbia anche una parte di supporto psicologico oltre che ginecologico.
Il messaggio più importante che vogliono diffondere è però che l’aborto deve essere sicuro, libero ed accessibile per chiunque!
Sostieni la causa compilando il questionario.
Per ulteriori informazioni, c’è anche una casella e-mail sosabortonapoli@gmail.com
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