
La fotografia italiana deve molto a Mimmo Jodice, colui che ha contribuito alla sua crescita e affermazione nello scenario internazionale. Jodice è stato ed è uno dei grandi innovatori, tra quelle personalità che hanno sperimentato per prime una nuova espressività del linguaggio fotografico a partire dagli anni ’60, un momento in cui la fotografia era più che altro vista come strumento documentaristico e non d’arte o espressione.
Dal fervore culturale degli anni ’60 Jodice trae il meglio, transita per il teatro e la pittura prima di arrivare alla fotografia dove sperimentò una nuova maniera di “fare arte e fotografia”, non si trattava più di un descrivere il mondo circostante, ma crearne uno nuovo,
la foto e i suoi accessori erano mezzo creativo e non più descrittivo.
Jodice durante questo periodo di sperimentazione culturale incontrò, collaborò e scambio vedute modi di vedere il creativo con artisti di tutto il mondo che erano a Napoli per un motivo o per un altro, sintomo di un fervore culturale che faceva convergere sulla città partenopea artisti da ogni dove. Sono anni che permettono al fotografo di incontrare i principali avanguardisti degli anni ’60-’70 : Wahrol, Kounellis, Nitsch e tanti altri. Tra avanguardisti ci si trova.
Jodice è a tutti gli effetti un’avanguardista, un termine che forse chissà qualcuno potrebbe affibbiare solo a fenomeni come quelli della pittura russa di iniziò secolo, ma che negli anni ’60 riguarda tutte le forme espressive, dalla pittura, al teatro, alla fotografia con Mimmo Jodice che porta avanti una ricerca concettuale nuova. Tra il ’68 e il ’70 Jodice ebbe l’opportunità di esporre per la prima volta i suoi lavori prima al Palazzo Ducale di Urbino e poi al Diaframma di Milano con i Nudi dentro Cartelle Ermetiche, mentre dal 1970 fino al 1994 è stato professore di Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Dagli anni ’80 in poi la sua ricerca si orientò verso quella che doveva essere una visione più metafisica, una concezione che è diventata poi quella dominante nei suoi lavori fino a oggi. Dalla fine degli anni ’80 in poi si sono susseguite le mostre a lui dedicate, oltre che i riconoscimenti più disparati, accanto a nuovi progetti che hanno visto Jodice indagare le radici metafisiche e mitiche della cultura mediterranea e non.
Tra i vari riconoscimenti basti ricordare il premio Antonio Feltrinelli nel 2003, la presenza da quell’anno nell’Enciclopedia Universale dell’Arte Garzanti e in quella Treccani, nel 2006 la laurea Honoris Causa in Architettura conferitagli dalla Federico II. Tra le mostre a lui dedicate quella retrospettiva del 2009 al Palazzo delle Esposizioni di Roma, quella del Louvre del 2011 e dell’anno seguente a Montreal. Nel 2016 il MADRE di Napoli gli dedicò la più grande e completa retrospettiva sulla sua carriera con la realizzazione anche di una grande opera omnia dei suoi lavori.
Mediterraneo
Dopo la sperimentazione dei primi anni Jodice iniziò a dedicarsi a una ricerca differente che per certi versi poteva sembrare di ricerca antropologica, culturale, ma che molto ha a che fare con la ricerca delle radici personali dell’individuo quando questo vive sulle rive del Mediterraneo, la ricerca di una mitologia propria, ma comune a tutti e su cui si fonda l’inconscio comune.
Il fotografo divenne così esploratore della metafisica.
Dall’immortalare l’uomo si passò quindi al paesaggio, all’essere non inanimato, ma immobile, un qualcosa che immobile, mutabile e immutabile allo stesso tempo è comune a tutti gli uomini, elementi comuni in cui tutti si ritrovano. La ricerca improntata alla statuaria, ai frammenti della Storia precedente, alla cultura antica e non solo furono alla base di Mediterraneo.
Anamnesi
Iniziando a ritrarre la statuaria antica del Mediterraneo Jodice aprì letteralmente le porte per Anamnesi, un ciclo di istantanee dove mosaici, statue, marmi la fanno da padrone.
Si trattò di porre oltre quelle considerazioni lineari di temporalità, di osservazione, un’espressività nuova, calma e tranquilla che non soffriva del tempo e che anzi, in virtù della loro immutabilità erano state testimoni, nel tempo, di tutto.
Anamnesi è il titolo di un’opera duplice a Napoli, moltiplicatrice nel tempo e nello spazio di quella che è stata l’essenza di Mediterraneo.
L’anamnesi è il ricordo, la reminiscenza della filosofia di Platone che indica l’atto di conoscere. Si tratta in questo caso di una serie di scatti che fanno parte del ciclo di 83 fotografie di Mediterraneo e che sono state proposte sin dagli anni ’90 in varie esposizioni, tra qui quella del MART del 2016 dove vennero esposti tutti i materiali del ciclo. A Napoli con il nome Anamnesi si possono ammirare due installazioni di Jodice, quella del MADRE, Anamnesi 8, e quella all’interno della Stazione Museo della L1, Anamnesi.
Anamnesi 8 è esposta al MADRE dal 2014, mentre Anamnesi si trova nella stazione di Museo con 18 pannelli. Che si tratti dell’una o dell’altra, entrambe sono uno spaccato sulla ricerca delle origini dell’uomo mediterraneo. Tra i volti, gli sguardi presenti è possibile scorgere quello dell’Atleta della Villa dei Papiri (1986), l’Amazzone da Ercolano (2007), il non volto del Compagno di Ulisse di Baia (1992), la Gorgone (1982), Bronzo romano (1993).
Ma di cosa si parla?
Si parla di una reminiscenza innata che Jodice fa riaffiorare, è un guardare negli occhi un parente lontano, un progenitore ancestrale.
Nella prossima puntata parleremo di Luca Giordano e i Santi Patroni di Napoli.
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