L’Anfiteatro Flavio è uno dei due anfiteatri romani esistenti a Pozzuoli e risale alla seconda metà del I secolo d.C.
La storia, frutto di fantasia, sotto riportata, viene raccontata da una giovane donna che per la prima volta si reca all’Anfiteatro Flavio per assistere ad uno spettacolo e prima ancora ne resta affascinata dall’architettura maestosa.
La prima volta…
Era la prima volta che andavo in un anfiteatro. Mia madre, quando ero piccola, non aveva mai voluto portarmi. Mio padre inizialmente insisteva spesso perché lui credeva che assistere agli spettacoli, che venivano allestiti nell’anfiteatro, spiegasse realmente come fosse la vita. Ma si arrese subito, sperando che la proibizione aumentasse il mio desiderio.
Appena, infatti, ebbi l’età giusta per decidere da sola mi recai proprio con mio padre all’Anfiteatro Flavio. Giunta lì fuori notai un’iscrizione epigrafica che recitava “la Colonia Flavia Augusta costruì a sue spese”. Guardai confusa mio padre e lui non esitò a spiegarmi che l’anfiteatro flavio era stato costruito proprio grazie ai soldi dei cittadini puteolani.
Lo spettacolo dell’architettura…
All’esterno la facciata, che comprendeva tre ordini di arcate sovrapposti, poggianti su pilastri e sormontati da un attico, preceduta da un portico ellittico impiantato su una platea di lastroni in travertino i cui pilastri originari in piperno ornati da semicolonne.
Notai la presenza di quattro file di cittadini che aspettavano di entrare per godersi lo spettacolo. Da un lungo corridoio interno si giungeva alle gradinate da cui partivano venti scalinate che conducevano al settore più alto degli spalti. Lì io e mio padre ci fermammo e notai che i posti erano numerati. Il settore mediano era costituito da sedici gradini, quello inferiore da ancora meno ed era chiuso dal ricordato parapetto dell’arena. Giunta al mio posto notai diverse botole che si affacciavano sulla fossa scenica, che avevano davanti delle tavole di legno. Guardai ammirata mio padre che rispose con un sorriso a trentadue denti. Per un attimo mi ritenni fortunata.
Qualche minuto dopo lo spettacolo iniziò e i due gladiatori entrarono nell’arena con i loro elmi e le loro armature: a differenza di quello che pensavo non erano molto coperti, eppure io sapevo che raramente i gladiatori morissero durante questi spettacoli. Decisi di focalizzarmi per capire bene come funzionasse. Li guardai lottare con la spada, con una maestria assurda e rimasi affascinata da come riuscissero a schivare i rispettivi colpi.
Finito lo spettacolo chiesi a mio padre dove si dirigessero i gladiatori alla fine dell’incontro e dove vi fossero gli animali. Papà infatti mi aveva raccontato che spesso lo spettacolo riguardava lo scontro tra un gladiatore ed una belva. Ma ciò che davvero mi incuriosiva era lo scontro navale, solo che ero così curiosa che non avevo voglia di aspettare che lo mettessero in scena.
I sotteranei e il collegemento con la città…
Poco prima di andare via, grazie alle sue conoscenze, papà mi portò a visitare i sotterranei dell’ Anfiteatro Flavio. La cosa caratteristica dei sotterranei è che vi era un ingegnoso meccanismo deputato al sollevamento della gabbie con le fiere. Organizzati lungo l’asse della fossa centrale e di un corridoio orientato nord-sud, essi erano serviti anche da un corridoio anulare, lungo il quale si aprivano piccole celle.
Ad oggi l’Anfiteatro Flavio viene anche ricordato per una leggenda popolare con protagonista San Gennaro. Si dice infatti che San Gennaro fu condannato a morire proprio lì. Nonostante questo, i leoni appena videro il vescovo di Benevento, si ammansirono.
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