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venerdì, Giugno 9, 2023

INTERVISTA – Jago, un artista indipendente: da Frosinone al laboratorio alla Sanità

Jacopo Cardillo da Frosinone. O più semplicemente Jago. Anzi, Jago da Frosinone come preferisce uno degli artisti più in voga del panorama internazionale da alcuni anni a questa parte. Nel corso dell’intervista, quando si è sentito chiamare “Jacopo”, è rimasto quasi sorpreso considerando che la sua vera identità corrisponde al nome che l’ha reso famoso. Ma attenzione a chiamarlo nome d’arte, perché “Jago”  è una scelta, quelle che a volte il mondo non ci permette di fare:

Non è un nome d’arte ma lo considero come un nome perché secondo me è un mondo dove ci danno tutto sin dalla nascita: dal nome alla religione per esempio. Il nome “Jago” lo vorrei all’anagrafe. Vorrei decidere di cambiare nome perché preferisco questo.

Classe 1987, in molti lo conoscono per la sua opera più celebre, “Il Figlio Velato”, oggi presso la Chiesa di San Severo Fuori le Mura a Napoli nella Cappella Bianchi. Oppure per il suo passato all’Accademia di Belle Arti di Frosinone e l’esperienza con Vittorio Sgarbi a Venezia. Ma perché lo si definisce “un artista indipendente”? Un artista oltre le convenzioni, per la libertà di creatività ed espressione che si racconta in un’intervista ricca di spunti, per noi osservatori e per lo scultore: una persona che ama e sa ascoltare. 

Una passione nata per caso

Jago intervista-Ciao Jago: come ogni talento, prima di scoprire il proprio estro, ci sono un inizio e una passione. Da dove nasce la tua passione per l’arte e per la scultura?

Quello che faccio oggi è un’invenzione totale, a partire dalla comunicazione che permette di metterti in contatto con l’arte. La passione nasce dalla volontà di essere un manipolatore, nel senso di toccare cose e inventare. Quindi è una questione di creatività per cercare di tradurre ed esprimere la realtà attraverso un mezzo. È sempre stato così e si cresce nel tempo attraverso ciò che accade intorno a noi: anche questa conversazione mi lascerà qualcosa. 

Il legame con Napoli e le differenze con “Il Cristo Velato”

Come tanti grandi dell’arte, Napoli è uno snodo cruciale anche per te: com’è nato questo legame viscerale con la città del Vesuvio?

-Come ho ripetuto spesso, Napoli è accaduta: è un progetto che come New York è nato per caso. Ci si innamora a prima vista. Negli States sono andato perché potevo fare esperienza senza pressioni e soprattutto ho una nuova famiglia: lì ho generato “Il Figlio Velato”. In quel periodo ho sviluppato il modo di poter lavorare negli States, in particolare a Long Island creando qualcosa di nuovo.

La stessa cosa è avvenuta alla Sanità: conoscendo Don Antonio Loffredo, parroco della basilica di S.Maria della Sanità, e i rappresentanti della Fondazione della Comunità di San Gennaro, ho conosciuto un nuovo mondo che mi ha portato a decidere di spostarmi.  Ho creato un progetto di un laboratorio, come un ventre materno dell’opera, alla Sanità nella Chiesa di Sant’Aspreno ai Crociferi che da fine gennaio diventerà un museo. Quindi sono innamorato di Napoli.

jago figlio velato“Il Figlio Velato” lo hai lasciato come eredità nella città partenopea, ma quanto ha influito “Il Cristo Velato”?

-Una domanda simile sul Cristo Velato potrebbe essere la stessa da fare a Bernini e Michelangelo sul David di Donatello. L’opera di Giuseppe Sanmartino è un simbolo, un’espressione da cui ognuno inventa poi il proprio progetto. È come l’invenzione dell’ombrello: dopo sono stati fatti anche altri, ma con modelli differenti e ognuno con la propria essenza.

Ci sono dei parallelismi considerando la figura velata: uno di questi è quella comunicazione che trovano le due opere, un po’ come le parole che hanno un valore di comprensione. La mia non è un’opera sacra o religiosa: in comune hanno la struttura e il marmo, ma sono rappresentati soggetti diversi, cioè un bambino e un uomo.

Come nasce un progetto? Parola di Jago!

Qual è il processo di un’opera? Come si comincia e soprattutto quanto tempo ci vuole?

Ho iniziato tradizionalmente per avere materiale per esprimermi. All’inizio riuscivo a fare 3-5 opere in un anno mentre ora al massimo 1-2 dato che la grandezza dell’opere diventa più grande come “La Pietà” a cui sto lavorando. Bisogna avere una progettualità importante ed è per questo che non voglio partecipare alle gallerie, soprattutto per via dei tempi che cambiano. La fragilità di questo mondo non mi ispira: l’ispirazione e il progetto dell’opera permettono di avere tempo. 

jago pietàLa fedeltà dei corpi è frutto di uno studio dell’anatomia umana?

Per cercare di essere il più fedele possibile alla realtà, lo studio dei corpi è importante: il mio interesse per l’anatomia è qualcosa che nasce da lontano e mi serve per essere fedele nella realizzazione delle sculture.

Fattore Jago: la semplicità e la libertà

Possiamo parlare di “neoneoclassico” oppure è una definizione che lasci ai posteri?

Sicuramente chiameranno il gesto in qualche modo se si imporrà, ma non ho questa preoccupazione perché lo reputo inutile da parte mia. Il nome che daranno a questo modo di fare arte sarà per i posteri: la creatività è un continuo evolversi ed è qualcosa che nasce nel tempo.

Fenomeno Jago: qual è il vero segreto di questa esplosione di successo?

-Fattore Jago: non ho mai pensato a questa sorta di “fenomeno”. La mia esigenza, ovvero il mio unico impegno, è continuare ad andare avanti per impegnarmi in qualcosa di sempre più alto ed importante che crei attenzione. Se c’è una novità questa deve garantire sempre libertà e indipendenza: forse sono questi i fattori che significano “nuovo” per gli osservatori e rappresentano quella forza che in molti non hanno di essere liberi. 

Il periodo attuale: una fonte di aspirazione

Quanto può influenzare/ispirare la realtà? Mi riferisco al periodo che stiamo vivendo: può essere un motivo per non far abbattere i giovani?

-Non credo nelle ispirazioni bensì nelle aspirazioni, ed è quello che ispira, come ad esempio i gesti della realtà o di te stesso. Anche questa conversazione può ispirarmi. Oggi un click permette di avere tutte le info di questo mondo e ti permette di essere libero, quindi questo periodo può essere stimolante per molti. Per questo motivo credo che dovremmo imparare tanto dalla realtà per capirla e rappresentarla. 

lookdown jagoLookdown” è un esempio di quanto hai detto e ha avuto tanto seguito: da dove nasce l’esigenza di tale opera? È una provocazione verso le forme d’arte e il loro valore?

Il critico è il vero lavoro delle proprie opinioni, di cui non mi fido molto tranne che sui fatti. La mia non è una critica, ma è un gesto per un momento in cui viviamo: si tratta di un riassunto di emozioni e suggestioni che rappresentano il momento che stiamo vivendo attraverso una comunicazione che oggi non sempre viene accettata perché per quanto ci siano tante info, siamo un po’ passivi; al contrario, nell’utilizzo dell’arte si permette di ragionare e creare delle opinioni.

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Mattia Esposito
Mattia Esposito
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