In occasione del 35° anniversario dalla tragica morte di Giancarlo Siani per mano della Camorra, il Corriere di Napoli ha avuto il privilegio di intervistare l’Onorevole Paolo Siani, fratello del compianto giornalista. Un’intervista intensa e piena di ricordi anche per i giovani che non hanno avuto il piacere di viverlo nel presente: un’eredità importante che ha permesso di aprire gli occhi in un mondo corrotto e marcio.
Sono tanti i punti toccati da Paolo Siani: dalla passione per il giornalismo al legame spezzato con Giancarlo sino all’insegnamento che ha lasciato tramite i suoi scritti e il possibile pensiero sull’editoria moderna. Un viaggio interessante nel ricordo di un simbolo della lotta alla resistenza.
-Salve Dottor Siani e grazie della possibilità di intervistarla. Lei è un filo diretto con Giancarlo: qual era il suo rapporto con lui?
-Eravamo solo due fratelli, io più grande di 4 anni, eravamo molto legati, avevamo anche molti amici in comune. Abbiamo frequentato anche lo stesso liceo. E facevamo molte cose insieme, giochi, sport, studio.
-Quando è cominciata la passione per il giornalismo di Giancarlo?
-Già alle scuole medie, quando il suo insegnante di lettere, negli anni Settanta (un vero innovatore per quegli anni), decise di realizzare il giornalino di classe e dopo un po’ affidò a Giancarlo il ruolo di caporedattore. Ecco, penso che in quegli anni mio fratello iniziò ad appassionarsi al giornalismo. Fu il suo insegnate a instillare il lui un seme, riconoscendogli delle doti particolari.
-Qual era la missione di Giancarlo?
-Voleva solo fare il giornalista. Giancarlo faceva solo il giornalista e ogni giorno saliva a bordo della sua Mehari e si recava a Torre Annunziata per fare semplicemente il suo lavoro. Giancarlo scarpinava, consumava la suola delle sue scarpe, si recava sul posto, chiedeva, faceva i dovuti collegamenti e raccontava quello che vedeva, senza se e senza ma. Insomma, Giancarlo provava a fare bene il suo mestiere, perché ci metteva tenacia, impegno e passione.
-Cosa le manca di più?
-Mi manca un fratello, e con gli anni questa mancanza si è sempre più accentuata. Mi manca un fratello con cui confrontarmi, condividere scelte e decisioni, piangere e gioire.
-Qual è il pezzo più bello che ha scritto secondo lei? Glieli faceva leggere?
-Certamente il pezzo che scrisse per Amato Lamberti “ La camorra a Torre Annunziata” è il più importante tra quelli scritti da Giancarlo, molto preciso e dettagliato. Credo che quell’articolo si possa definire un vero e proprio saggio. E poi l’articolo del 10 giugno 1985, quello in cui svela il tradimento di un clan, l’articolo che gli è costato la vita. Ma Giancarlo ha scritto quasi 900 articoli, interessandosi di tutto. Leggere i suoi articoli è ancora oggi una cosa importante.
Per questo motivo la Fondazione Giancarlo Siani onlus ha deciso di pubblicare la raccolta degli scritti di Giancarlo “Le parole di una vita” (Iod edizioni): serve a chi vuol capire quegli anni e a chi vuole fare il giornalista.
-Qual è il film/libro che più rappresenta Giancarlo?
-Fortapàsc. Il film di Marco Risi racconta il vero Giancarlo e fa comprendere bene anche il suo lavoro di corrispondente e come maturò, in quali ambienti mafiosi, l’idea di ucciderlo. Marco Risi ha trascorso molti mesi insieme a me e alla mia famiglia per capire chi era Giancarlo e per raccontarlo al meglio e devo dire che c’è riuscito benissimo. Fortapàsc è un capolavoro.
-Dove sarebbe potuto arrivare grazie al suo talento e determinazione?
-E chi lo sa. Chi può saperlo. Questa è la vera tragedia, aver sottratto una mente, un ragazzo giovane al suo destino, e aver tolto a tutti noi un capitale umano. Questo fanno le mafie. E questa è la più grande cattiveria che viene fatta a tutto il nostro Paese, che in tal modo viene impoverito.
-A 35 anni dalla sua scomparsa, pensa che il problema della legalità sia ancora poco sentito oppure ci sono più parti coinvolte? Il pensiero di Giancarlo è servito?
-La strada per il contrasto alle mafie c’è, è stata tracciata, bisogna solo seguirla, non a parole ma con i fatti, e con l’esempio. Non ci deve essere nessun abbassamento della guardia, ma bisogna sempre tenere alta l’attenzione su questo fenomeno, che è stato contrastato efficacemente dalla magistratura e dalle forze dell’ordine ma che non è ancora stato sconfitto.
Quando parlo di Giancarlo nelle scuole, quando leggo ai ragazzi qualche suo articolo, vedo negli occhi dei ragazzi accendersi una luce, e mi dico che il suo sacrificio è servito.
-Spesso quando si viene uccisi per fare del bene, ha buone intenzioni, la maggior parte delle persone la vede come “Chi gliel’ha fatto fare?”. Cosa dice a queste persone? Suo fratello cosa avrebbe pensato?
-È la frase che mi fa più male e che viene sempre detta in queste circostanze. Ci possono essere molte spiegazioni, ma di certo Giancarlo non se l’è cercata. Non poteva non raccontare ai suoi lettori quello che vedeva e che accadeva a Torre Annunziata, non poteva non raccontare per esempio che una boutique chiusa a Torre Annunziata era del clan e serviva a riciclare i soldi della camorra.
Questo vuol dire fare il giornalista. Giancarlo ha visto negli occhi il male, l’ha visto nei vicoli di Torre Annunziata e nei palazzi del potere e con precisione l’ha raccontato. E se non ci fossero i giornalisti a raccontarci i fatti non sapremmo mai di tanti affari loschi delle mafie. Il mio pensiero va ai tanti giornalisti minacciati dalle mafie che nonostante tutto continuano a fare il loro lavoro. A tutti loro va il mio più profondo e sentito grazie.
-Cosa penserebbe del giornalismo di oggi?
-Oggi il giornalismo è molto cambiato rispetto agli anni Ottanta, influenzato come tutti i settori della nostra vita dall’avvento delle nuove tecnologie. Giancarlo si sarebbe certamente adeguato al contesto e avrebbe aiutato qualche giovane brillante ad emergere. C’è comunque un dato incontestabile, che vale a prescindere dalle epoche storiche: Giancarlo scriveva davvero bene, e questo conta più di qualsiasi altro aspetto nel mestiere di giornalista, oggi come 35 anni fa. Giancarlo raccontava i fatti e li raccontava bene, in modo chiaro. Anche sul web e sulle nuove piattaforme informative avrebbe certamente lasciato la sua impronta.
-Cosa pensa abbia lasciato in eredità suo fratello tra cittadini e colleghi?
-La lezione di Giancarlo è molto semplice, fare bene il proprio lavoro, con passione, senza paura, senza farsi condizionare, né farsi influenzare. So che tanti hanno scelto di fare i giornalisti per lui, come per continuare il suo lavoro e diventare suoi colleghi. C’è anche, in verità, chi ha lasciato il mondo del giornalismo.
Per noi che restiamo qui c’è la responsabilità di non far morire il ricordo di Giancarlo e saremo qui finché avremo voce per parlare di lui. Dopo di noi altri parleranno di lui, perché ricordare il sacrificio di Giancarlo è fondamentale anche per altri giornalisti, affinché non vengano né uccisi né minacciati o intimiditi.
Potrebbero interessarti:
L’omaggio del Mattino a Giancarlo Siani
Giornata delle vittime di mafia: ricordiamo, ma restando a casa