Uroboro: quando i napoletani divennero “i colerosi”. Benvenuti nel primissimo episodio di “Uroboro”, dove analizzeremo una volta a settimana un evento storico riguardante il passato del nostro paese.
PERCHE’ “UROBORO”
Mentre studiavo per l’università, mi sono imbattuto nel mio vecchio libro di filosofia. Riaprendolo, ho riletto il pensiero di Nietzsche riguardo il concetto di storia. Più nello specifico, mi sono soffermato al pensiero di eterno ritorno dell’uguale. Incuriosito, sono andato a cercare una definizione per spiegarla, si parla di una teoria che si ritrova genericamente nelle concezioni del tempo ciclico, come quella stoica, per cui l’universo rinasce e muore nuovamente in base a cicli temporali fissati e necessari, ripetendo eternamente un certo corso e rimanendo sempre se stesso. Esiste, inoltre, un simbolo molto antico, presente in molti popoli e in diverse epoche: l’uroboro. L’uroboro rappresenta un serpente o un drago che si morde la coda, formando un cerchio senza inizio né fine. Rappresenta il potere che divora e rigenera se stesso, la natura ciclica delle cose, che ricominciano dall’inizio dopo aver raggiunto la propria fine
CORSI E RICORSI STORICI
Il 27 agosto 1973 è un lunedì particolare: il mondo, infatti, è inchiodato davanti ai telegiornali per 60 svedesi tenuti in ostaggio dai banditi in una banca per 131 ore: usciranno difendendo i rapitori, e nascerà la “sindrome di Stoccolma”. Ed il giorno stesso, mentre tutti guardano la rapina in banca, un virus intestinale stava per mettere in ginocchio Napoli. Curioso come oggi, nel 2020, dopo mesi in cui Unione Europea e non solo si stavano concentrando sulla questione ambientale, un virus abbia invaso prima la Cina, poi l’Italia ed infine il resto del mondo. Destino?
NASCITA ED ARRIVO IN ITALIA
Pochi lo sanno, ma la pandemia del colera iniziò in Indonesia nel 1961, per poi diffondersi in Bangladesh nel 1963 ed in India nel 1964, seguita dall’Unione Sovietica nel 1966; solo nel 1973 raggiunse l’Italia. Arrivò più precisamente da un carico di cozze infette della Tunisia. Da lì al Golfo di Napoli. La notizia del colera iniziò a diffondersi la sera del 28 agosto 1973, eppure il Ministero della Sanità emise un comunicato stampa secondo cui dal 23 agosto nella zona di Ercolano-Torre del Greco si erano manifestati 14 casi di gastroenterite acuta. Il 31 agosto, quando all’ospedale Cotugno di Napoli risultavano ricoverati già 220 pazienti sospettati di aver contratto la patologia, i cittadini partenopei assediarono il Municipio di Napoli, data la carenza di vaccini. Città in caos, che reagì in pochissimo tempo e riuscì ad uscire in maniera egregia da una situazione non inedita, ma pur sempre complicata.
CURIOSITA’
–Il 16 settembre 1973 il Genoa rifiutò di giocare la 4ª giornata della Coppa Italia contro il Napoli allo stadio San Paolo, avendo peraltro il Comune di Genova rifiutato l’inversione del campo. Per tale rinuncia, venne assegnato il risultato di 2-0 a tavolino e il Genoa fu penalizzato di un punto nella classifica del sesto girone.
–Sul mercato iniziarono a mancare i limoni. Questo perché il succo dei limoni limitava gli effetti della malattia.
IL MEDICO CHE COMBATTE’ IL COLERA
«Ero in corsia al Cotugno nel 1973, durante il colera. Ma questa epidemia è un’altra cosa, mai visto nulla del genere». Franco Faella è uno degli infettivologi più esperti in Italia, ha 74 anni, nel 2015 era andato in pensione da direttore del dipartimento infettivologico dell’Ospedale Cotugno di Napoli, dove lavorava sin dal 1970, ma l’Asl di Napoli lo ha chiamato, chiedendogli di mettere a disposizione la sua esperienza per l’allestimento del reparto dedicato al covid 19 all’Ospedale Loreto Mare di Napoli. Faella ha risposto dalla sua Castellammare e ha accettato: «Ci ho pensato – dice – e ho capito che non potevo comportarmi da vigliacco».
Uroboro: quando i napoletani divennero “i colerosi”
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