Cecily Brown e la morte dell’opera d’arte
Ci aveva già pensato un autore ignoto della metà del quindicesimo secolo ad elevare ad arte una scena decisamente macabra, e che ci accomuna tutti sotto un ammonimento all’effimera condizione dell’esistenza.
In un lussureggiante giardino incantato perimetrato da una siepe, un cavaliere apocalittico irrompe cavalcando uno spettrale e macabro cavallo bianco: l’allegoria della morte, che con grande forza e senza la minima apprensione, si sbarazza dei vivi che incontra lungo il suo cammino.
Si tratta di un’iconografia che Cecily Brown recupera dall’affresco palermitano intitolato The Triumph of Death (1450 circa), e che rielabora in una delle tele più grandi mai realizzate fino ad ora dall’artista – opera attualmente esposta al Museo Nazionale di Capodimonte.
Un dettaglio desta curiosità: la citazione sembrerebbe duplice in quanto, oltre l’iconografia, ritorna anche il simbolo della croce che divide formalmente la tela in quattro sezioni. Una ferita presente anche sull’affresco palermitano, che dopo i danni per i bombardamenti nel 1944, fu diviso in quattro pannelli per essere restaurato. Questa manovra, sfortunatamente, ne compromise i margini che col tempo si sono deteriorati.
Come significa l’opera di Cecily Brown?
Un campo allargato – direbbe Denys Riout – quello che caratterizza le opere d’arte dal Novecento in poi. Conseguenza di una rottura con la tradizione che porta gli artefatti a diventare lo specchio di una società complessa, e che di conseguenza presenta opere che necessitano di uno sguardo di tipo fenomenologico, che includa – come in questo caso – anche i materiali della narrazione che contribuiscono e, anzi, sono il senso dell’opera.
Nella rielaborazione di Cecily Brown, la pittura non è la pittura delle belle arti, ma è la pittura delle cosiddette arti plastiche. Il passaggio dalle belle arti alle arti plastiche è un processo molto importante per le metodologie interpretative, perché se ci si allontana da una norma a priori, se si parte dall’assunto che non si può parlare di arte, ma di opere d’arte, appare chiaro che per comprenderne il senso bisogna rivolgersi alla materialità di queste.
L’opera d’arte è un processo di produzione fatto di vari elementi che ne generano il senso. È come se la narrazione comprendesse anche la materialità dell’opera.
Il taglio nella tela di Cecily Brown non è il frutto di un restauro sbagliato, di uno strappo azzardato, ma è parte della narrazione. Si tratta di un elemento dell’opera che esprime come la pittura racconti sé stessa: attraverso la pittura Cecily Brown parla della pittura, integrando il taglio all’interno di quella che può essere intesa come una riflessione sulle preoccupazioni contemporanee come il restauro, la fallibilità di questa scienza, la distruzione, il recupero e la ricostituzione.
Il medium è il messaggio, non è un contenuto che sta dentro un contenitore. Il messaggio non è la narrazione pittorica a sé stante, ma il complesso di elementi, che dà una rilettura in chiave contemporanea dell’iconografia affrontata, superando la citazione.
Si tratta quindi di una rielaborazione di un’opera iconica della grande tradizione figurativa, in cui l’allegoria della Morte si presenta come un cavaliere apocalittico a cavallo di uno spettrale cavallo bianco, che senza la minima apprensione, ci parla della caducità della vita come di quella delle opere d’arte, in una narrazione in cui convivono la pittura ed il suo decadimento, la vita e la morte.