Con l’isola della Gaiola inauguriamo il nostro nono episodio della rubrica Riscopriamo Napoli. Il piccolo attollo per via della sua particolare conformazione naturale è un piccolo gioiello bagnato dalle azzurrine acque del Golfo di Napoli. Ma (ahinoi) anche questi bucolici paradisi naturali sono ammantati da oscure leggende in perenne contrasto con le bellezze che esse offrono. Pare, infatti, che l’isolotto goda della pessima fama di portatrice di jella provocando numerose disgrazie a quanti coloro avessero osato abitarci profanandolo con la loro presenza.
Ma da cosa deriva il termine Gaiola?
Inanzitutto, l’isola non sempre è stata chiamata con il nome di Gaiola. Nei tempi antichi era, infatti, nota con il nome di Euplea, sinonimo di protettrice di navigazione e rifugio sicuro. Il termine Gaiola, invece, sembra derivare dal dialetto caviola in riferimento alle piccole cavità che costellano Posillipo. L’isola della Gaiola presenta una particolare forma geografica che la rende unica del suo genere. Teoricamente si tratta di un piccolo arcipelago formato da due isole che sono collegate tramite un ponte naturale. Una delle due parti è “popolato” da una villa fatta costruire da Luigi De Negri nel 1874, mentre l’altra è priva di qualunque abitazione. Oggi l’isola è di proprietà della regione Campania che ne ha affidato la gestione a diverse associazioni onde preservarne la sua memoria storica.
La tragica storia dell’isola della Gaiola
Come già accennato, l’isola cela dietro di sé un oscuro segreto a dispetto delle sue bellezze naturali. Nel corso degli anni si è larga la leggenda secondo la quale chiunque abitasse nell’isola è destinato a subire delle tragiche conseguenze. La tradizione vuole che la maledizione prendesse vita in epoca romana quando il proprietario dell’isola era Publio Vedio Pollione. Si trattava di un ex schiavo (liberto) che ottenne una ricchezza talmente vasta da divenire membro dell’ordine equestre. Il suo nome è legato all’oscura fama guadagnatosi di aver ucciso numerosi schiavi facendoli mangiare vivi dalle sue murene tenute in piscina. Secondo altre voci fu addirittura il poeta Virgilio che, durante il soggiorno all’isola, insegnò ad alcuni allievi a compiere oscuriincantesimi, contaminando in questo modo le acque del mare.
Oggi, tuttavia, siamo molto vicini alla tradizione secondo la quale la maledizione aveva preso vita a causa di un eremita soprannominato Stregone che avrebbe lanciato una maledizione all’isola ed ai suoi futuri abitanti nel XIX° secolo. Secondo un’altra versione la “sfiga” sarebbe iniziata nel 1910 quando l’allora proprietario della villa il senatore Giuseppe Paratore scoprì un muro raffigurante una Gorgone decapitata e lo fece spostare. I greci avevano la tradizione di raffigurare la creature come anatemi per proteggersi dalle disgrazie.
Qualunque possa essere la versione, sta di fatto che dal secolo scorso l’isola porta dietro di se una pessima nomea, fatta di una lunga catena di sangue che ancora oggi si fa sentire. La pessima nomea dell’isola iniziò a vagheggiare già nei primissimi anni del XX° secolo quando fu trovato morto Hans Baus, seguito poco dopo dalla sua consorte che morirà annegata. Lo scrittore svizzero Maurice Sandoz è stato uno dei proprietari dell’edificio e morì suicida in manicomio nel 1958 dopo essere caduto in rovina. Tra le vittime più illustri troviamo persino la famiglia Agnelli, nello specifico l’imprenditore Gianni che sopravisse alla morte di molti suoi cari. L’ultima vittima fu Gianpasquale Grappone, proprietario di una compagnia di assicurazioni che fallì poco dopo l’acquisto della villa isolana.
Tra bellezza e leggenda
L’insieme di questi tragici avvenimenti sopra elencati hanno contribuito ad alimentari l’idea che l’isola porti jella a chiunque osasse profanarne la bellezza naturale con la sua presenza. Al di là della sua oscura leggenda, l’isola della Gaiola rimane uno dei tanti spettacoli paessagistici che Napoli offre. L’isolotto è un concentrato di meraviglie della macchia mediterranea che si sposa con gli scorci paessagistici e storici contenuti. Un tipo di bellezza che, ahinoi, è ammantata dalla leggenda oscura che ancora oggi è parte del nostro folklore.