Questa è una rubrica che si occupa di arte, ma anche di come questa s’intrecci con l’arte e in questo fine settembre non potevamo non ricordare le Quattro giornate di Napoli occupandoci dell’omonima stazione dell’arte.
Cilea-Quattro giornate
La stazione di Quattro giornate della Linea 1 si trova difronte lo stadio Collana del Vomero, uno dei lunghi simbolo dell’insurrezione del 1943. Inizialmente la stazione, dal 2000 al 2003, era denominata “Cilea”, per la vicinanza con l’omonima strada. Nel 2003 il sindaco Rosa Russo Jervolino propose di far cambiare nome alla stazione con Quattro giornate in memoria dei caduti dell’insurrezione popolare di Napoli.
La stazione mantiene le sue caratteristiche di luogo dell’arte e di “collegamento spaziale”, ma allo stesso tempo trova spazio per omaggiare gli eroi di Napoli e il ricordo della città stessa attraverso una serie di opere d’arte che accompagnano il viaggiatore.
Il ricordo, l’arte, la forza
La stazione di Quattro giornate è particolare, ha una struttura profonda circa 50 metri con binari non allineati e posti su due piani differenti. Nel percorso dell’utente vi sono le opere d’arte, sempre sapientemente inserite nel contesto della stazione tanto da divenirne componente comprimaria e funzionale e mai semplice orpello aggiuntivo al luogo.
L’atrio
All’interno dell’atrio l’utente può osservare due opere di Nino Longobardi, bronzi e dipinti. Di grande impatto visivo è Le Quattro giornate di Napoli, costituito da quattro bassorilievi in bronzo realizzati a cera persa in cui sono rappresentate le sagome di altrettante persone. Sono quasi lastre sepolcrali, sagome che ricordano un momento unico nella storia di Napoli. Sempre nell’atrio c’è il Senza Titolo di Longobardi in cui è rappresentata la figura di un’uomo con colori e segni che non si discostano molto da quelli della tela stessa su cui è fatto. Questo confondersi dei colori di segno e supporto è il rimando al luogo da cui vengono tutti, la terra, e in cui ritorniamo per poco nel viaggio ctonio che ci si accinge a fare nel luogo.
Discesa
Nel percorso di discesa per le banchine, poste sugli spazi sovrastanti le scale mobili vi sono le altre opere di Sergio Fermariello, Baldo Diodato e Anna Sargenti. Fermariello, per la stazione di Quattro giornate si è focalizzato sull’idea di un’ancestralità legata al continuo movimento dell’uomo e alla sua lotta per sopravvivere. I guerrieri, sono una grande installazione in ferro con sagome stilizzate che raffigurano guerrieri preistorici, la memoria collettiva di un’aggressività che è sepolta nell’animo umano, ma che è sempre pronta a venir fuori all’occorrenza. é una necessità di sopravvivenze, come quella di Caccia Primitiva, un panel che permette di avere un’immagine in movimento in base al punto d’osservazione. Osservando l’opera da sinistra verso destra si vedrà un cacciatore, mentre dalla direzione opposta un cervo in fuga. Un movimento che ricorda che l’uomo non è un essere statico ma si muove e agisce nello spazio, come in Anime migranti la grande crepa che spacca il muro nella stazione. La crepa di Anime migranti è il simbolo di una memoria che viene fuori sempre più prepotentemente più scendiamo nella memoria collettiva e nei sogni, in questo caso nella stazione. Un movimento che è continua e senza fine, ne un’inizio, come in Zazen. Zazen è un’installazione realizzata con un cerchio nero, il fondo di gomma di un copertone, su un fondo bianco. Il tutto appare come una sorta di pennellata circolare, nera e continua dove non c’è inizio e non c’è fine.
Differenti sono le opere di Baldo Diodato e Anna Sargenti. Diodato ha realizzato Exit, una grande scultura in lamiera di alluminio accartocciata. Si tratta di una lamiera con una profonda fenditura al centro, una ferita da cui irrompe la luce all’interno, una metafora della nascita, del passaggio tra la luce e le tenebre. Al centro della fenditura l’azzurro, azzurro del cielo o del mare, in ogni caso brillante e vivo. Anna Sargenti mette in scena con Sabe que la lucha es cruel una tango all’interno della metropolitana. La sua installazione, realizzata con fotogrammi di due ballerini che danzano un tango e foto delle fasi costruttive della stazione, mettono davanti agli occhi dello spettatore una danza forsennata e impossibile nel cantiere della metro.
Risalita
Nella risalita ci sono poi le opere di Umberto Manzo, Betty Bee, Maurizio Cannavacciuolo e Marisa Albanese. Quella di Manzo è un’installazione che lascia senza fiato per la complessità e allo stesso tempo semplicità con cui è realizzata. Si tratta di tre teche verticali fissate al muro con all’interno fogli, disegni, giornali su cui passano le linee orizzontali di rotaie. Un viaggio che può essere letto in molteplici direzioni. Betty Bee mette i visitatori davanti a un light box incassato nel muro in cui si vede l’artista, la figura blu, dietro un immaginaria barriera che divide lo spazio di chi viaggia dall’installazione. Ancora una volta la realtà del viaggio è al centro della visione artistica in cui il fruitore è spettatore, ma anche spettacolo per l’artista che l’osserva.
Maurizio Cannavacciuolo ha proposto una passione, l’amore, declinato in maniera ignota, un’Amore contronatura. Il disegno emerge dalla tela attraverso un’insieme di punti sul damascato che a prima vista non sono sempre identificabili. Se si guarda l’opere con attenzione si noteranno un’uomo e un cervo che si baciano, richiamo al titolo.
L’ultima installazione sono le Combattenti di Marisa Albanese. Si tratta di quattro sculture femminili in bronzo dipinto di bianco e acciaio poste in posizione di meditazione/attesa. Questo è un richiamo alla partecipazione delle donne all’insurrezione del settembre del 1943, una componente importante del processo di liberazione. A loro e a tutti i combattenti è dedicata la frase In girum imus nocte ecce et consumimur igni, andiamo in giro di notte ed ecco siamo consumate dal fuoco. Un riferimento alle falene, ma anche dalla passione del combattente che affronta il pericolo a ogni azione.