Emanuele Scuotto, un artista a tutto tondo. Un Gigantesco Crocifisso che emerge a metà dalle acque cementificate della parete; il Pulcinella steso e coperto dal lenzuolo come la più famosa scultura del Cristo partenopeo nella Cappella Sansevero; la sintesi mimica – corporea e facciale – delle Anime Purganti, i Putti incastrati in una stele ceramica, il volto inafferrabile della “Bella ‘mbriana”, un Ciclope irriverente dall’occhio di fotocamera per Smartphone, San Gennaro in posa inusuale, reinterpretazioni di oggetti scaramantici (l’immancabile “curniciello”).
Il primo impatto sui lavori dello scultore napoletano Emanuele Scuotto ci riporta ad un mondo che della tradizione culturale metropolitana partenopea e non solo ha saputo evidenziare appartenenze radicali ma anche superamenti incisivi, nella personale riappropriazione di un senso plastico pronto a traghettare l’eredità del passato verso gli slanci metalinguistici e ipercinetici del futuro.
Emanuele Scuotto, l’arte presepiale
Emanuele, classe 1978, è uno dei tre fratelli Scuotto, artisti-simbolo della Città che con il loro Laboratorio “La Scarabattola” sito nella via per eccellenza della presepialità artigianale (via dei Tribunali, San Gregorio Armeno) si sono posti da sempre come punto di riferimento non solo nell’ambito figurativo-manuale dell’arte tradizionale campana e del sud Italia ma anche nel campo della promozione culturale e dello studio inerente la simbologia dell’oggetto folcloristico in sé.
Dalla “bottega” allo studio demo-etno-antropologico, dalla pura manualità al discorso artistico e culturale interdisciplinare, il Gruppo Scuotto ha dato esempio in questi ultimi anni delle immense potenzialità comunicative dell’arte scultorea napoletana e non solo.
In particolare, Emanuele, con cui ho avuto il piacere di una lunga e coinvolgente intervista telefonica, nella sua ricerca plastico-figurativa lunga ormai 25 anni, sia in fusione che in autonomia con “La Scarabattola”, sembra accogliere e divulgare pienamente la lezione dell’eclettismo e della contaminazione figurativa.
La creatività artistica
Nelle stanze creative “in solitaria” di Emanuele, sembra accendersi la tensione verso un marchio personale ed intimo che pur non prescindendo dall’ossatura della tradizione, punta dritto verso l’onda emozionale e suggestiva che la figura cultuale riesce a dare come mito, fascino e mistero. Emanuele Scuotto sembra volere ogni volta rendere la trascendenza più umana e più vicina, mostrandoci la soglia liminale del nessun luogo, dello spirito vagante e del passato che si avvicina.
“E mentre il soggetto mistico si incarna nella materia plasmata” afferma lo scultore “ciò che amo proporre attraverso l’opera è una domanda aperta e continua, una provocazione, mai una risposta certa … amo aprire le porte ad un possibile dialogo trascendentale con la scultura che partendo da una precisa tradizione culturale e cultuale, riesca a spaziare su tematiche intime e spirituali altre, non necessariamente ascrivibili al tema religioso, umanizzando al massimo la spiritualità e spiritualizzando al massimo la domanda sul vivere umano.”
Alla domanda su come la sua arte sia uscita da questa seconda ondata pandemica, Scuotto mi risponde che il settore artistico non ha mai definitivamente perso il suo smalto di fronte al periodo esigente e spoliante della Pandemia, ma in realtà ha solo fatto i conti ultimi con una crisi endemica in cui né la politica né le amministrazioni locali sono mai riuscite a vedere l’Arte come settore di risorsa o motore economico vero e proprio.
“Eppure, ciò che paradossalmente del periodo pandemico mi ha colpito è stato vedere come parte della clientela che da sempre è abituata ad apprezzare l’Arte come forma di arricchimento personale, ha continuato ad investire sull’oggetto artistico artigianale perché spinta da motivazioni educative intime che prescindono da un riflesso oggettivo educativo dato dalla politica o dalla società.”
Buon segno. Segno che il cuore degli italiani è inequivocabilmente e quasi del tutto inconsapevolmente legato all’arte. “Ed è per questo” conclude lo scultore “che se il nostro Paese è quell’inimitabile patrimonio artistico a cielo aperto che narra meraviglie ad ogni centimetro, chi lo abita non può prescindere da una formazione artistica fatta di solo apprendimento razionale ma deve continuare a coltivare – come può e meglio che può – una vera e propria corrispondenza emotiva con l’Arte, un innamoramento soggettivo e una suggestione continua a livello anzitutto personale. Bisogna coltivare quello spirito che permetta l’apprezzamento quotidiano, altrimenti non avremo mai una futura classe politica che pensi all’arte come risorsa economica concreta.”
Resta allora forse oggi invariabile la caratura di un buon appassionato d’arte: la ritroviamo nello spirito di condivisione non tanto mediatica e social (faccio un bel post su quella mostra perché sono andato a vederla) quanto nel suo saper dialogare con l’oggetto artistico nell’intimità del silenzio. È da lì che l’oggetto, prima ancora di parlare e di far parlare, diventa amico. Quell’entità silenziosa comunica col non detto, da pensiero a pensiero, da compiuto a non compiuto e viceversa, fino a donare un senso sesto o perché no un settimo senso che dice l’esistenza di ancora una nuova strada da percorrere. A partire da Sud.
Articolo di ANGELA DE NICOLA
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