La canzone del Piave mormorava è il principale protagonista di questo nostro terzo appuntamento con la rubrica Riscopriamo Napoli. Similmente al celeberrimo ‘O surdato ‘nnamurato, si tratta di motivetto musicale nato nel periodo in cui l’Italia era impegnata nella Grande Guerra. A distanza di più di cent’anni, questo inno alla Patria ci fa rivivere un mix di sentimenti che vanno dall’orgoglio nazionale fino alla sensazione di riscatto a Vittorio Veneto dopo la vergognosa disfatta di Caporetto.
Ermete Gaeta: un impiegato poeta
Ma qual’è il messaggio che si nasconde dietro le note della canzone del Piave? Per trovare queste risposte dobbiamo iniziare dall’autore che ha composto il motivetto, Giovanni Ermete Gaeta (noto con lo pseudonimo E. A. Mario). Nato a Napoli il 5 maggio del 1884, Giovanni proviene da una famiglia povera che gestiva una modesta bottega di barbiere. Nonostante le gravi ristrettezze economiche, il giovane Gaeta riuscì a costruirsi da autodidatta una vasta formazione umanistica. A dieci anni imparò anche a strimpellare un mandolino dimenticato da un cliente consentendogli di sviluppare una rudimentale base musicale.
Appena diciottenne iniziò a lavorare per le Poste Italiana con sede a Palazzo Gravina, a Monteoliveto, come impiegato allo sportello delle raccomandate. Fu lì che incontrò il compositore Raffaele Segrè al quale Giovanni espresse tutta la sua ammirazione, accusandolo, però, che i suoi testi erano “tanto papuchielle”. Il compositore, allora, gli lanciò una sfida che consisteva nel dargli un testo o una poesia e se la trovava bella lo avrebbe musicato. La sfida venne vinta con Cara mamma riscosse un enorme successo tanto da venire subito musicato e presentato alle prime teatrali.
Ha così inizio la sua prestigiosa carriera di poeta segnata da capolavori come A Mergellina, Ammore ‘e femmena, Strofette allegre, Ronda di notte. Nonostante i successi riscontrati, Gaeta non trasse quasi mai alcun beneficio economico tanto che continuerà a lavorare alle poste per tutta la vita per mantenersi. Del resto non era la ricchezza quello che cercava: Ermete voleva semplicemente esprimere tutta la bonarietà e simpatia alla napoletana attraverso la poesia e la musica.
La Grande Guerra ed il fronte italiano
Intanto scoppia la Grande Guerra in Europa e l’Italia si unirà nel 1915 affiancando Inghilterra, Francia e Russia contro Austria e Germania. Le prime fasi si svolgono sotto il comando di Luigi Cadorna con una serie di offensive che non diedero alcun risultato tattico. Gli austriaci si impegnarono sulla difensiva per contenere l’avanzata italiana fino a quando non sfondarono con l’aiuto tedesco a Caporetto nel 1917.
L’evento provocò un violento scossone all’esercito italiano che, indebolito dalle perdite umane e del materiale bellico, fu costretto ad una disperata resistenza lungo il Piave. Sarà proprio lì che avverrà la riscossa italiana. Il Regio Esercito, guidato adesso dal generale Armando Diaz, compirono una serie di valori ed azioni respingendo le offensive nemiche. Questo fino a giungere al grande balzo di Vittorio Veneto che arriderà ufficialmente la vittoria agli italiani nella Prima Guerra Mondiale.
Ma cosa vuole dirci il Piave?
La notizia delle prime vittorie difensive presso il Piave giunsero a Ermete Gaeta che in quegli anni servì sul fronte occupandosi della corrispondenza militare. Il paroliere non ci pensò due volte a comporre un brano ispirato dall’avvenimento. La canzone del Piave riscosse un immediato successo tra le truppe che erano soliti cantarla per trovare comforto nella dura vita delle trincee. Ma qual’è il suo argomento? Cosa ha significato e cosa tuttora significa per noi?
La canzone è suddivisa in quattro strofe ognuna delle quali descrive i momenti più salienti del fronte italiano. Nella prima si fa accenno all’arrivo “dei primi fanti, il 24 maggio” e quindi alle prime fasi belliche. L’esercito, infatti, è appena giunto al fronte “per fare contro il nemico una barriera”.
La seconda strofa si apre con “un fosco evento”, ossia Caporetto e ovunque si avverte “l’ira e lo sgomento”. L’esercito è costretto alla ritirata lungo il Piave e migliaia di profughi sono costretti “a gremire tutti i suoi ponti”. Interessante sottolineare che nel periodo fascista la disfatta caporettiana viene indicata col termine “tradimento”. Allora si pensava che la sconfitta fosse responsabilità dei soldati, quando in realtà furono gli errori tattici ufficiali e l’intervento tedesco a provocare il disastro militare.
La terza strofa vede il nemico ritornare perché “voleva sfogare tutte le sue brame” e “sfamarsi e tronfare come allora”. Ma ben presto si vedono i fanti italiani (“No! dissero i fanti”) “combattere le onde” dando inizio alla battaglia del Piave e respingendo l’avanzata austriaca.
Il che ci porta all’ultima strofa della canzone del Piave che descrive gli ultimi istanti del fronte italiano. I “torvi imperi” sono stati sconfitti “sul patrio suol” che adesso include anche le zone trentine e venete. Troviamo anche un omaggio ai patrioti Oberdan, Sauro e Battisti che hanno dato la vita per la causa italiana. I versi finali, insomma, celebrano quella vittoria che “sciolse le ali al vento” dopo che i soldati hanno subito i pesi della vita in trincea e della rigidezza degli ufficiali. Una vittoria che si fermò al Piave elevato a fiume sacro alla Patria.
Fonti: Archivio storico Istituto Luce (video “Il Piave mormorava”)- Museo della Battaglia di Vittorio Veneto – 1418: documenti e immagini della grande guerra – Wikipedia
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