L’argomento di oggi per la rubrica “Colori partenopei” è la celebre serie TV “Gomorra”. Attraverso le parole di Francesca Originale, una studentessa magistrale all’università “L’Orientale” di Napoli, scopriremo varie sfaccettature di questa famosa storia napoletana.
Gomorra: spiazzante, audace, folkloristica
Secondo Francesca Originale, le tre parole che si possono utilizzare per descrivere la serie TV “Gomorra” sono: spiazzante, audace e folkloristica. Secondo lei, “Gomorra” è importante come serie TV perché è riuscita a mettere l’Italia sulla mappa. Ha, cioè, reso onore all’Italia, a prescindere dai contenuti, mostrando l’alta qualità della produzione artistica che abbiamo.
Gli stereotipi su Napoli
Secondo la studentessa, gli stereotipi all’interno della serie sono innumerevoli, ma servono anche per far rispecchiare lo spettatore all’interno della serie TV stessa.
“Gli stereotipi sono molteplici: ad esempio, le case di queste famiglie camorristiche decorate in stile quasi rinascimentale, barocco, o anche il modo di vestire dei ragazzi. Mi hanno colpito le tute, anche se effettivamente la maggior parte di queste persone veste in questo modo. La cosa simpatica è che l’ho ritrovata anche in un’altra serie TV americana di grande calibro, “I Soprano”, che racconta di una famiglia italo-americana che gestisce lo spaccio in New Jersey”.
Francesca ci dice che nella serie è presente un altro aspetto folkloristico – ma sempre stereotipato – di Napoli. Si riferisce alla presenza continua di un’atmosfera in cui pensi “Ora può succedere di tutto. Ora posso trovarmi nel bel mezzo di una sparatoria o di una rapina. Ora posso essere vittima di un conflitto da arma da fuoco”. Lei ci tiene a sottolineare che ovviamente quest’aspetto dev’essere reso scenico per descrivere il tema della serie TV, ma che Napoli non è tutto questo.
La realtà napoletana in Gomorra
Tra gli argomenti che rispecchiano la realtà in “Gomorra”, abbiamo innanzitutto la storia, che parla di un avvenimento di cronaca realmente accaduto, vale a dire le vicende del clan Di Lauro.
“Questo clan era molto potente e radicato nelle zone di Scampia e Secondigliano. Nella prima stagione, viene rappresentata proprio la scissione del clan Di lauro con Ciro di Marzio, che prende le parti degli scissionisti. La cosa che mi ha spiazzato è la rappresentazione delle piazze di spaccio. Stefano Sollima (regista della serie, nda) disse che lui studiò a lungo il modo di produrre, realizzare e rappresentare queste zone di spaccio, perché hanno una loro funzionalità e ognuno ha il proprio ruolo. Anche la famosa frase del track sui tetti delle case popolari “M’ sieeeent… t’appost” è diventata famosa, ma alla fine rispecchia la realtà di come un soldato debba svolgere il proprio ruolo di sentinella all’interno di un sistema di spaccio”.
Secondo Francesca, è importante anche denunciare la condizione delle Vele. “Molti rapper oggi pensano che basti parlare delle Vele, di Scampia e dello spaccio per diventare famosi su YouTube. Non bisogna utilizzare il degrado sociale che vige in questi luoghi per salire alla ribalta. Secondo me, Gomorra ha dato un’immagine di Napoli al mondo come se fosse una città pericolosa, ma io confido nel fatto che gli spettatori possano riuscire a capire che si tratta di una spettacolarizzazione della città di Napoli. Bisogna raccontare queste vicende, che però devono essere calate in un preciso contesto”.
La studentessa ci racconta che le Vele erano nate come un progetto, che poi è stato abbandonato a se stesso, come molte cose a Napoli, ed è diventato patria di tantissimi baby clan che poi si sono evoluti nel corso del tempo. “Alla fine è vero quello che si vede: la Camorra c’è. Noi che viviamo a Napoli, nonostante fosse sotto i nostri occhi, a volte neanche ce ne accorgevamo. Sono meccanismi così radicati all’interno di questa città che ormai abbiamo fatto l’abitudine“.
Le critiche a Gomorra
“Ci sono tantissime cose che si possono raccontare sulla napoletanità: per esempio, dalla serie si evince anche il buon cuore che abbiamo noi napoletani. Siamo accoglienti, non denigriamo nessuno, siamo disposti a dare il nostro cuore, ma non dobbiamo mai essere pugnalati, perché sappiamo come ripagare il gesto”.
Ci furono molte critiche quando uscì Gomorra, perché dava un’immagine della città di Napoli che non è del tutto veritiera. Francesca pensa che la scelta di questo tipo di rappresentazione sia stata fatta per un motivo giusto, cioè per dare un senso alla storia raccontata.
“Non possiamo raccontare una Napoli di rose e fiori se dobbiamo parlare di un clan camorristico. Bisogna essere anche intelligenti nel saper scindere la finzione dalla realtà. Napoli è una città fantastica con dei pregi che quasi nessuna delle altre città possiede. Ovviamente c’è anche l’altra faccia della medaglia come in qualsiasi città. Ogni città, anche la più bella, anche New York, che è vista come la meta delle speranze, ha le sue ombre”.
La fama internazionale
“Io penso che Gomorra sia stata una delle serie più colossali a livello di produzione. Ne sentivi parlare da Milano alla Sicilia. Era diventata qualcosa di culturalmente identificabile in uno stivale che è variegato di tradizioni e folklori: tutti nell’estate del 2014 (anno in cui è uscita la prima stagione, nda) parlavano di Gomorra”. I napoletani hanno vissuto la serie in prima persona, perché erano sulla bocca di tutti. Secondo Francesca, l’importante è che di una cosa se ne parli, nel bene e nel male. “E noi napoletani abbiamo sempre suscitato questo nelle persone”.
Una serie TV da non perdere
“Gomorra è stata un colossal di serie tv. E’ stata distribuita in oltre 190 paesi, anche dalla HBO, la rete che ha trasmesso “Game of Thrones”, serie TV che ha rivoluzionato il mondo del piccolo schermo. E’ stata veramente un fenomeno, spesso paragonata a “The Wire”, una serie tv americana, che racconta il ghetto afro-americano”.
Secondo la studentessa, “Gomorra” è stata un prodotto cinematografico così perfettamente confezionato che gli altri paesi non potevano farne a meno ed è anche stata la serie che più ha venduto in Italia. Tutto è di un livello altissimo: le inquadrature, i montaggi, le scenografie e perfino l’interpretazione degli attori.
“Mi ricordo che Michael Fassbender, attore plurinominato agli Oscar (lo ricordiamo per “12 anni schiavo”, “X-men” e “Shame”), nominava come sua fonte di ispirazione Marco D’amore, che interpreta Ciro Di Marzio nella serie TV. L’attore ha proprio saputo rappresentare l’evoluzione del personaggio in tutte le sue fasi: la fase del traditore, quella dello scissionista, quella del padre senza figlia, quella del redentore che deve accudire un nuovo discepolo. Infine, la fase di colui che ha raggiunto uno stato di equilibrio relativo e viene ucciso per difendere una persona che, in realtà, una famiglia ce l’ha e deve tutelarla. Anche Salvatore Esposito, l’interprete di Genny Savastano, ha fatto un lavoro magistrale”.
Francesca conclude affermando di essere particolarmente contenta per gli ottimi risultati della serie, perché essi fanno capire come l’Italia sia qualitativamente fondamentale per lo spettacolo e come abbia dei grandissimi talenti che dovrebbero essere sfruttati di più.
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