Vendere la Gioconda per il Covid? Questa è l’ultima idea di Stéphane Distinguin, consulente digitale parigino. Infatti, vista la crisi del settore culturale francese, la soluzione estrema è vendere il gioiello per eccellenza. La domanda sorge spontanea: chi può permettersela? «Penso che gli acquirenti non mancherebbero. Jeff Bezos ha speso poco meno per il suo recente divorzio. Oppure si potrebbe pensare a una sua sponsorizzazione, oppure ancora imitare quel che già si fa nel mondo dell’arte contemporanea per monetizzare le opere di alcuni artisti ricorrendo a token non fungibili e blockchain. La Gioconda a garanzia di una nuova moneta virtuale. Insomma una volta accettato il principio di sfruttare in modo diverso, più moderno, il valore della Gioconda, si aprono molte prospettive».
Questo quanto dichiarato dalla Distinguin, che ovviamente è pronta alle polemiche. «Le più varie, dai nostalgici della monarchia che inorridiscono, ai conservatori che scuotono la testa e sottolineano come il patrimonio coincida con l’identità di un popolo, ai progressisti che capiscono la mia voglia di guardare verso il futuro. Poi ho avuto anche amici italiani che mi hanno ripetuto ”La Gioconda è nostra”, anche se a differenza di altri tesori presenti nei musei francesi o inglesi la Gioconda non è affatto un bottino di guerra né il frutto di un furto: come è noto fu acquistata dal re francese Francesco I».
Tutto ciò è ovviamente finalizzato a salvare il mondo della cultura, ormai dilaniato dal Covid. La consulente ha anche lanciato un prezzo: “Si calcola che due milioni di turisti l’anno vadano al Louvre soprattutto per vedere Monna Lisa. Possiamo stimare che la Gioconda frutti al Louvre e indirettamente all’economia francese (tra merchandising, alberghi e biglietti aerei) grosso modo tre miliardi di euro l’anno. Una base d’asta di 50 miliardi mi pare ragionevole.”
Giusto vendere la Gioconda per il Covid?
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