Una salsa che ha una storia lunghissima e un odore inconfondibile: la storia del ragù napoletano parte da lontano ed è intrisa di leggenda. Dalla Provenza fino a Napoli, scopriamo insieme le origini d’ ‘o rraù!
‘O rraù ca me piace a me
m’ ‘o ffaceva sulo mammà.
A che m’aggio spusato a te,
ne parlammo pè ne parlà.
Io nun songo difficultuso;
ma luvàmmel’ ‘a miezo st’usoSì, va buono: comme vuò tu.
Mò ce avéssem’ appiccecà?
Tu che dice? Chest’è rraù?
E io m’ ‘o mmagno pè m’ ‘o mangià…
M’ ‘a faje dicere ‘na parola?…
Chesta è carne c’ ‘a pummarola
Le origini
Per scoprire le vere origini del ragù napoletano, ci tocca fare qualche passo indietro fino ad arrivare alle cucine provenzali durante il Medioevo. Proprio qui, infatti, veniva preparato il Daube de boeuf, uno stufato di carne di bue mescolato con verdure e cotto per molte ore in una scodella si creta. A partire dallo stufato, con il passare dei secoli, si arriva al ragout: stessa preparazione, ma con carne di monotone.
Siamo nel XVIII secolo, circa, quando il ragout comincia a fare le sue prime apparizioni nelle ricche cucine napoletane; tuttavia continuava ad essere un semplice stufato di carne e verdure, senza pomodoro. Anche il Cavalcanti, nella sua Cucina teorica, parlerà dello stufato definendolo “brodo rosso”: un sugo che serviva per condire i maccheroni, senza però citare la presenza di pomodoro.
Con il tempo il sugo ha subito modifiche, pur mantenendo inalterata la base ed il concetto: la possibilità di avere un piatto unico con una sola preparazione!
Ma perché “ragù”?
Col termine ragù o ragutto si definisce un condimento a base di pomodoro con carne a pezzi o macinata cotta per molte ore a fuoco basso. In ogni caso, come avrete potuto immaginare leggendone le origini, la parola ragù altro non è che una deformazione del termine francese.
Una modifica nella pronuncia tipicamente napoletana, facilmente ritrovabile in termini come sartù, gattò, crocchè, purè: tutte parole derivate dal francese.
È ben noto come il periodo tra XVIII e XIX secolo, a Napoli, sia segnato dal regno di Ferdinando IV di Borbone: una corte influenzata dalla cultura francese in tutti gli ambiti, anche quello culinario…
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La questione legata al nome del ragù, però, non si ferma e nel periodo del Ventennio il regime volle italianizzare il termine in “ragutto” in quanto (derivando dal francese) non puramente italiano…
La leggenda del ragù
La cultura napoletana è ricca di storie e leggende; noi del Corriere di Napoli lo sappiamo bene e ne abbiamo fatto una rubrica: Discover Naples. Naturalmente anche il piatto napoletano per eccellenza ha la sua leggenda personale e comincia alla fine del 1300…
Secondo la storia a Napoli, intorno al XIV secolo, esisteva la Compagnia dei Bianchi di giustizia: un gruppo che percorreva la città al suon di “misericordia e pace”. Fu durante uno dei loro giri che si imbatterono nel palazzo di uno dei signori più odiati della città, il Palazzo dell’Imperatore (in Via dei Tribunali).
Un signore tanto scortese quanto crudele, e che tutti cercavano di evitare. La predicazione della compagnia convinse la popolazione a rappacificarsi con i propri nemici, ma solo il nobile che risiedeva nel “Palazzo dell’Imperatore” decise di non accettare l’invito dei bianchi nutrendo da sempre antichi e tenaci rancori. Non cedette neanche quando il figliolo di tre mesi, in braccio alla balia sfilò le manine dalle fasce ed incrociandole gridò tre volte: “Misericordia e pace”
(fonte )
Il signore era accecato dall’ira, e fu in questa occasione che la moglie gli preparò un piatto di maccheroni, in modo da intenerirlo e tentare di fargli cambiare idea circa il suo comportamento: la Provvidenza intervenne e riempì il piatto di sangue, facendolo diventare completamente rosso.
Convintosi del prodigio, il signore decise di seguire l’insegnamento della Compagni: perdonare i suoi nemici e vestire il bianco. In occasione della decisione, la moglie preparò i maccheroni che magicamente divennero rossi, questa volta però, profumati e invitanti! Il signore, nell’assaggiarlo, trovò che era veramente buono e saporito così lo chiamò “raù” lo stesso nome del suo bambino.
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