Uroboro: ‘I fiori del male’ di Baudelaire. Benvenuti al quindicesimo episodio di “Uroboro”, una rubrica nella quale analizzeremo una volta a settimana un evento storico riguardante il passato recente e non.
PERCHE’ “UROBORO”
Mentre studiavo per l’università, mi sono imbattuto nel mio vecchio libro di filosofia. Riaprendolo, ho riletto il pensiero di Nietzsche riguardo il concetto di storia. Più nello specifico, mi sono soffermato al pensiero di eterno ritorno dell’uguale. Incuriosito, sono andato a cercare una definizione per spiegarla: si parla di una teoria che si ritrova genericamente nelle concezioni del tempo ciclico, come quella stoica, per cui l’universo rinasce e rimuore in base a cicli temporali fissati e necessari, ripetendo eternamente un certo corso e rimanendo sempre se stesso. Esiste, inoltre, un simbolo molto antico, presente in molti popoli e in diverse epoche: l’uroboro. L’uroboro rappresenta un serpente o un drago che si morde la coda, formando un cerchio senza inizio né fine. Rappresenta il potere che divora e rigenera se stesso, la natura ciclica delle cose, che ricominciano dall’inizio dopo aver raggiunto la propria fine.
CENSURA DI UN CAPOLAVORO
Il 25 giugno 1857 Charles Baudelaire pubblica la sua opera più importante: i Fiori del Male (Les Fleurs du Mal). Un libro rivoluzionario, almeno in parte, per la Francia di metà ottocento. Influenzò tutti i suoi successori, i cosiddetti poeti maledetti. Un capolavoro della letteratura europea, all’epoca mal interpretato e censurato. Cento poesie, cinque sezioni: Spleen e ideale, I fiori del male, La rivolta, Il vino, La morte. La magistratura transalpina non prese benissimo l’opera: venne prima sequestrata, poi censurata (sei poesie circa) ed infine venne multato assieme al suo editore. Una personalità come quella del simbolista parigino, però, non poteva essere contenuta così facilmente. Sostituì le sei poesie censurate con altre 35.
Ma cosa c’era scritto in quelle poesie di tanto scandaloso dal subire una sorta di ‘damnatio memoriae’? Scopriamolo assieme.
OSSIMORO
Il titolo è un ossimoro perché associa i fiori, simbolo della bellezza nella tradizione letteraria, all’idea del male e del vizio. Il titolo riflette il carattere provocatorio della poesia baudelairiana, che si propone di «estrarre la bellezza dal Male», perché nel mondo contaminato della modernità e dominato dalla Noia (lo spleen) non sono più possibili evasioni all’interno della natura né riscatti attraverso l’amore. Il bisogno di purezza e di spiritualità, che pure il poeta avverte, è destinato a rimanere per sempre insoddisfatto e sconfitto dalla forza di attrazione del vizio e del male.
Il fiore è anche il simbolo dell’inutilità dell’arte. Come l’arte, il fiore non ha alcuna utilità pratica, ma vale per la sua assoluta bellezza. Nascono da questo ragionamento due concetti:
–l’art pour l’art, ovvero l’arte fine a se stessa, come ricerca della bellezza e del piacere estetico;
–poesia pura, che rifiuta l’impegno politico e sociale e si propone autonoma da ogni condizionamento morale, libera nella sua soggettiva rappresentazione della realtà.
Baudelaire,dunque, fonda la sua poesia sul potere evocativo e allusivo della parola, su una attenta ricerca formale, sulla perfezione musicale dello stile.
Un centinaio di anni dopo, circa, anche qualcun’altro ha deciso di omaggiare Baudelaire, ma con la musica…
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