Tra ritualità e partecipazione: ricordando Hermann Nitsch
Caricature di personalità celebri – quali Boccioni, Marinetti, Pratella e Carrà – attorniate da dipinti ed un’orchestra: un’incisione consegna all’immaginario comune quel che doveva essere lo svolgersi di una serata futurista; una maniera differente di parlare l’arte, costruita su una rivoluzione curatoriale che, nel tentativo di capovolgere i sistemi tradizionali imborghesiti, tenta di offrire un contatto diretto col pubblico.
E se il medium pittorico si rifà perlopiù ad una dimensione simbolista, è proprio la sua esposizione in contesti dinamici che – segnalando il qui ed ora ed immolandosi sull’altare dell’evento – dà vita allo spazio inteso come luogo della partecipazione collettiva.
Realizzare una partecipazione che vada oltre il simbolico – cioè la fruizione passiva – è un argomento importante nella riflessione del ruolo sociale dell’arte che aveva affrontato lo stesso Marinetti, quando nel manifesto futurista su Le Figarò contrapponeva la velocità concreta – performativa – dell’automobile a quella simbolica della Nike di Samotracia.
Si rintraccia quindi un’idea di arte che non finisce sulla tela o in spazi tradizionali, ma che tenta di disciogliersi in mera esperienza collettiva
Ecco che una soluzione ludica ma efficace come quella della colla cosparsa sui sedili del teatro, è finalizzata alla sicura reazione di un pubblico abituato alla contemplazione della Nike. In questo si scorge in nuce tutto il discorso che ha coinvolto la pratica artistica dal secondo dopoguerra in poi, rintracciando in particolare tematiche molto care alla Body art degli anni Sessanta.
Sviluppatasi nel solco degli happenings – basti ricordare l’uso del corpo che diviene centrale nelle Antropometrie di Yves Klein – è una pratica che riduce del tutto lo spazio tra artista e pubblico, portandolo a puro fatto teatrale, che passa attraverso il corpo e agendo si fa oggetto e soggetto dell’opera stessa. Emblematico è inoltre l’uso del masochismo che, essendo il dolore indissolubilmente legato all’esperienza umana, ne segnala la realtà e la concretezza, diventando un ulteriore veicolo per avvicinarsi al pubblico.
Su Azione sentimentale (1973), Gina Pane affermava «se apro il mio corpo affinché voi possiate guardarci il vostro sangue, è per amore vostro»
Gina Pane, protagonista nel secolo scorso della Body Art, concepiva le sue performance più estreme come un appello al fruitore.
Un appello ad uno spettatore che proprio in quanto presente è attivo. Un’azione di condivisione diretta che va al di là della dogmatizzazione del processo del corpo avvenuto attraverso l’istituzionalizzazione liturgica, in un discorso il cui centro è la condivisione.
Le azioni di Hermann Nitsch
In un calderone in cui si mescolano partecipazione, schiaffi al pubblico e centralità del corpo, basti inserire ingredienti quali il recupero della dimensione rituale dell’arte – tramite il ricorso alla teatralità stessa – e l’evocazione di archetipi junghiani, per ottenere il Wiener Aktionismus (Azionismo viennese), il cui protagonista è sicuramente stato Hermann Nitsch – scomparso il 18 aprile scorso all’età di 83 anni.
«Nelle nostre azioni, la poesia diventa pittura, la pittura diventa poesia, la musica diventa azione, la pittura d’azione diventa teatro»
Ed è cosi che il pigmento della pittura futurista si fa ben presto sangue, mutando il discorso in vere e proprie azioni totalizzanti, esperienze multisensoriali che appartengono ad una dimensione apotropaica. Le performances di Hermann Nitsch, alla stregua della tragedia greca, si rivolgono allo spettatore con una funzione catartica, vestendo palinsesti fatti di complessi riferimenti culturali, che vanno dalla mitologia pagana alla tradizione cristologica.
La liturgia del simbolico che – dal vino, al sangue fino ad arrivare al sacrificio – passa attraverso la spettacolarizzazione di una realtà che, abbandonando il metaforico, si fa cruenta.
Persiste un forte atteggiamento teso alla spettacolarizzazione – quasi teatralizzante – nella resa di un’immagine cruenta attraverso la presenza di attori-sacerdoti che incanalano il tutto in una sacralità corale, scandita tra le note di un accompagnamento musicale.
Ma al di là di quell’arte intesa «un modo estetico di pregare» (Hermann Nitsch), resta un’azione la cui vista si offre come uno schiaffo nei riguardi dello spettatore «scandalizzato perché vive in una società inodore e insapore, dominata da una televisione che vetrinizza e spettacolarizza ogni cosa; così lo spettatore si aspetta anche da una mostra un’immagine bloccata e controllata; in questo caso, però, l’azione non si svolge in senso orizzontale ma in profondità. Qui scatta lo scandalo, la situazione estetica che interdisce il voyeurismo dello spettatore e lo colloca in una posizione interattiva, obbligandolo anzi a intervenire» (Achille Bonito Oliva).