Anime sante anime purganti
Io songh sola e vuje site tante
Andate annanz’a Mio Signore
e raccuntatece tutti li mjei dulure
antica preghiere per le anime “pezzentelle”
La “festa dei morti” a Napoli: Il retaggio storico e le origini mistiche
Nell’intero meridione d’Italia, il culto dei defunti ha origini antichissime e radicate. Nella Neapolis Greca, i culti in onore di “Ecate psicopompa“, la divinità capace di mettere in comunicazione i vivi e i morti, si celebravano di Lunedì nell’area funeraria posta nel vallone degli Eunostidi (attuale borgo dei Vergini). Ufficialmente la Chiesa Cattolica istituì la Commemorazione dei defunti per il 2 Novembre nel XIV secolo, chiamandola Anniversarium Omnium Animarum. Scelta intesa a creare una continuità col passato, sovrapponendo la nuova festività cristiana a quelle pagane.
“Lunedi giorno dei morti”
Per tanti cittadini, ancora oggi, il giorno del Lunedì è dedicato alla “visita alle anime del purgatorio“. Ci si reca infatti nelle diverse chiese che ospitano i resti mortali delle cosiddette “anime pezzentelle“. San Pietro ad Aram, Purgatorio ad Arco, Sant’Agostino alla Zecca nonché il più celebre Cimitero delle Fontanelle solo per citarne le più famose. L’ aggettivo “pezzentelle“, inteso come povere oppure senza parenti, deriva invece dal latino “petere“ cioè chiedere, impetrare. Il termine “Refrisco“, che i napoletani riconoscevano come una preghiera o un’ atto in grado di “rinfrescare” l’anima purgante, avvolta altrimenti nelle fiamme, deriva dal nome della cerimonia funebre latina del “Refrigerium“.
La percezione della Morte all’ombra del Vesuvio
Nella concezione partenopea, l’anima di una persona cara non smette di assolvere i propri obblighi affettivi con la morte. Anzi, trovandosi in una dimensione ultraterrena, potrà essere il primo e miglior mediatore per la sua famiglia verso l’Altissimo. Pertanto, la commemorazione dei defunti di inizio novembre è dedicata alla sfera più intima degli affetti familiari. Più simile alla festività latina dei Lari (antenati) che a quella dei Lemuralia (anime disperse).
I rituali della “festa dei morti”
I riti iniziano la sera del 31 Ottobre, accendendo un lume all’imbrunire e ponendolo fuori alla finestra. Servirà per indicare la strada di casa ai parenti defunti che in questa notte possono ritornare dai loro cari. Viene lasciata la tavola imbandita per “loro” che vorranno certamente rifocillarsi dopo l’impervio “viaggio attraverso il limine”. In passato restavano aperte quella notte anche le chiese. I trapassati potevano così nuovamente sentir celebrare la liturgia. La famosa “Messa p’e Muort” a cui nessun vivente poteva assistere se voleva restare in vita. Il mattino del 2 Novembre ci si reca a “rendere la cortesia” a i defunti. Come loro hanno visitato la casa dei vivi la notte precedente, i parenti fanno visita alla loro dimora eterna. Nei cimiteri pochi sono i volti tristi. I viali alberati, solitamente deserti sono affollati come via Toledo. Un “tanatologico struscio” dove le comunità dei vivi e dei morti s’incontrano per celebrare un happening tra fiori e lampade votive. Il saluto tradizionale degli anziani ai propri cari recita: “ncè verimmo l’anno che viene, o ncè cuntramm primma sì vo’ Dio” (vengo a renderti visita l’anno prossimo, o ci rincontriamo prima nell’ Aldilà, se Dio disporrà così).
Il menù della tradizione
Il menù della giornata è un pezzo della storia “gastonomico-rituale” della cucina partenopea. Dal primo al dolce ogni pietanza ha un “retaggio cultuale” antico o antichissimo:
- Si inizia con Zuppa di Soffritto e involtini di fegatini con l’alloro. Entrambi si preparano con le frattaglie del maiale. Entrambi discendono dalla consuetudine di cibarsi con le interiora degli animali sacrificati nel rito latino dei “Refrigeria” (il banchetto che si teneva sulla tomba del trapassato).
- Per frutta melagrane. Pomo sacro legato al mito della regina dell’oltretomba Persefone, che per averne mangiato un chicco fu costretta a rimanere nel regno dei morti, sposa prigioniera di Ade.
- Per dessert “Torrone dei Morti”. Preparato solo in questa ricorrenza è di pasta morbida ed ha una forma che ricorda una bara. Per tale motivo è detto anche “o’ murticiello“.
- Oppure “l’ossa ‘e Muort“, torrone duro preparato con zucchero caramellato e farcito di mandorle e confettini detti “diavulilli“.
- In alternativa potremo gustarci un “cuppetiello di ammennole atterrate” (involto di carta contenete mandorle caramellate), dette così perché durante la preparazione vengono letteralmente sommerse dallo zucchero.
La processione dei “Murticielli”
Essendo questo un pranzo abbastanza caro, ed essendo stato sempre il popolo napoletano solidale con i meno abbienti, ci si inventò una strana usanza. La processione dei murticielli. La mattina del 1 Novembre, migliaia di bambini, attrezzati con una cassettina di carta con sopra disegnato un teschio ed una croce, sciamavano per le strade. Chiedevano un obolo ai passanti al grido “Signurì ‘e Muort“. Tale consuetudine, raccontata dalla scrittrice Matilde Serao in un suo articolo per “il Mattino” agli inizi del Novecento e immortalata in magnifici scatti del maestro Mimmo Jodice negli anni Settanta, ricorda molto da vicino l”anglosassone “dolcetto o scherzetto“. Ma considerando che alla fine della questua il ricavato veniva donato ai bisognosi, i quali avrebbero potuto pure loro banchettare ” pe’ resfrischo all’Anema ‘e tutt’e muort“, preferiamo quella in salsa partenopea.