Avvicinatevi, currite, pigliate posto, allumatevi, e arapite ‘e grecchie: nu’ cunto accussì non l’avite maje manco addurato! (avvicinatevi, accorrete, prendete posto e state attenti: un racconto così non lo avete mai ascoltato) Giovanni della Carretòla, storia di Marzia Basile
Il racconto di Marzia
La turpitudine del marito e l’amicizia con le “Janare”
La sua bellezza sarà usata dal marito come merce di scambio. Il degenere don Muzio, incarcerato per debiti, cederà la moglie al governatore di Ariano Irpino, Don Matthias, per onorare i debiti contratti con quest’ultimo. Matthias, non contento di stuprare più volte la donna, la fa rinchiudere nelle segrete del suo palazzo per poi condividerne le grazie con diversi suoi cortigiani. Marzia riesce rocambolescamente a scappare e, pur rischiando di morire assiderata nel tremendo inverno tra le montagne avellinesi, rientra a Napoli quasi morta. Li ritrova le figlie accudite dalla nutrice Desiata. La fantesca per farla curare, non potendo rivolgersi ad un medico, si rivolge a delle guaritrici. Le stesse “figlie della Natura“, depositarie di antichi saperi, che con erbe, unguenti e preghiere incomprensibili salvavano i malati del popolo e che lo stesso popolo chiamava Janare (streghe) denunciandole all’Inquisizione quando non aveva più bisogno di loro.
Un breve momento di felicità
Libera dal marito e finalmente consapevole della sua ritrovata femminilità, Marzia trova l’amore di Hermanno Gajola, capitano di giustizia della guardia spagnola. Vive un breve periodo di felicità con l’amante ma, la sera del 23 Dicembre 1602 don Muzio ritorna a casa. Lì trova la moglie a cena con con Hermanno e il suo servo Giamelio. Marzia all’inizio sembra sopportare bene i pesanti insulti che il marito le vomita addosso con rabbia, quando lo stesso però si avvia verso la stanza delle figlie, come una tigre scatta su Don Muzio e lo uccide infliggendogli centinaia di coltellate. I convitati avvolgono il cadavere di Muzio in un tappeto. Giamelio ed un famiglio provvederanno a farlo sparire lanciandolo in mare dal Ponte della Maddalena. La balia Desiata provvede a ripulire il lago di sangue.
Sembra la fine di un incubo, in realtà un incubo peggiore sta per iniziare
Tutto sembra andare bene per pochi giorni, fino a che un manipolo di sbirri non arresta Desiata e Giamelio con l’accusa di omicidio. La balia infatti, non riuscendo a trattenere il segreto ne parla con una donna del popolo, tale Ninuccia’a Capera che corre subito a denunciarla ai preposti. Portati al Carcere della Vicaria, dopo una estenuante seduta di tortura, la serva confessa che l’autrice del delitto è Marzia Basile. Tradotta in carcere il 2 Gennaio 1603, Marzia subisce violenze e torture, ma non confessa il viricidio. Dopo diversi mesi di carcere duro sembra averla scampata: Marzia nega gli addebiti e il corpo del marito non viene ritrovato. Il clamore dei primi giorni della notizia è scemato e Napoli è in festa per l’arrivo del nuovo Viceré Juan Alfonso Piementel de Herrera, duca di Benavante.
Il triste epilogo
Una monito dal passato
La storia di Marzia Basile deve essere un monito ed un inno alla Memoria, quella di una ragazza morta troppo giovane, preda d’interessi e di una società misogina, distorta e corrotta, che l’hanno resa oggetto di scambio e vittima sacrificale. Perciò ancora oggi chiede giustizia.