In un articolo del Mattino del primo febbraio, si racconta una scena all’esterno dell’Istituto Ilaria Alpi e Carlo Levi a Scampia. I ragazzi sono esuberanti e sorridenti, anche dietro le mascherine; la piazza di fronte è desolata, passano poche auto veloci, tutt’intorno c’è lo stesso degrado del resto della città: cartacce, erba incolta nelle aiuole, auto in divieto, cumuli d’immondizia.
Alla domanda “cosa manca a Scampia?” rispondono: “Manca il fatto che dovete lasciarci in pace, non siamo uno zoo da visitare, siamo persone, ci vedi? Non portiamo armi, non siamo pusher, non siamo camorristi. Chi viene qui pensando di raccontare Gomorra sbaglia”.
Ma nell’articolo si vuole raccontare la Scampia vera, quella della gente perbene che aspetta il cambiamento. L’atteggiamento della gente, però, non cambia: “Di cosa abbiamo bisogno? Di parchi pubblici che non facciano schifo, di un autobus che ci porti dove desideriamo arrivare, di lavoro per i genitori che non ce l’hanno più, di spazi dove incontrarci senza preoccupazione. Sai a noi che cosa ci manca? Ci manca il futuro”.
Un deserto di promesse mancate
Il contesto è quello di un deserto di promesse mancate. È vero che il territorio pullula di associazioni piccole e grandi che lottano al fianco dei giovani. Ma a Scampia manca un progetto vero, grande, condiviso ad ogni livello.
Rilevante in questa storia è il campo rom di cupa Perillo. La strada in cui è situato è stata progettata nel 1972 per collegare Napoli con l’hinterland e lo svincolo per Scampia era pronto nel 2006. Solo che, nel frattempo, sotto al viadotto in costruzione, s’erano accampati i rom. Il villaggio s’era ingrandito talmente tanto da aver invaso anche la zona destinata al transito delle automobili.
Si decise allora di non aprire lo svincolo e di rimandare il problema: il rinvio va avanti da 16 anni, i rom sono ancora lì, la strada che potrebbe collegare facilmente Scampia al centro resta vietata anche se ci sono progetti in corso per riaprirla.
L’impegno di Paipais
A battersi per risolvere questa storia e per tante altre necessità di Scampia, fino allo scorso ottobre era Apostolos Paipais: “Ho fiducia in ciò che farà Manfredi […] Sono sicuro che la nuova Giunta sta lavorando anche per questo, dopo dieci anni di sfacelo è difficile ritrovare il percorso adatto ma io resto fiducioso”.
La vela Verde è stata abbattuta nel 2020. Subito dopo la stessa sorte sarebbe toccata alle altre. A tutte tranne una, la celeste, destinata a un progetto di rivitalizzazione. Al posto dei palazzi simbolo del degrado dovevano esserci nuove case per la gente di Scampia, capaci di restituire dignità e vivibilità alla gente.
Restart Scampia
Dall’abbattimento della vela Verde, invece, non è successo nulla. Il progetto Restart Scampia che doveva correre come un treno e portare nuove speranze al territorio si è fermato. L’abbattimento di tutte le vele, inizialmente auspicato per il 2015 dovrebbe essere completato entro il 2025, spesa complessiva 18 milioni, compreso il restyling dell’unica vela superstite. L’obiettivo è irraggiungibile, anche perché attualmente non c’è nessuna attività in corso.
C’è movimento, invece, intorno all’edificio circolare che dovrà ospitare la nuova facoltà di medicina. In realtà, l’apertura di questa facoltà era annunciata per la fine del 2008, 14 anni fa. Il percorso nei luoghi delle promesse mancate è difficile da affrontare. Forse hanno ragione i giovani della città: quel che manca qui è il futuro e le promesse non mantenute non consentono di pensarla diversamente.