Maschere, chiacchiere e Carnevale napoletano. Napoli ha condiviso per secoli, con Roma e Venezia, il primato di “patria del Carnevale”. Già in epoca medioevale spettacoli di artisti girovaghi mascherati allietavano i lauti banchetti comunitari. Una curiosità, l’avversione al colore viola degli attori nasce proprio in questo periodo. Viola erano i paramenti liturgici indossati dal clero durante la Quaresima, periodo durante il quale era vietata ogni forma di spettacolo. Il colore viola da allora viene associato all’impossibilità di guadagnarsi da vivere con la propria arte. Per tanto il colore è bandito dal palcoscenico.
Il periodo Aragonese
Durante la dinastia dei Trestamara, mascherarsi per il Carnevale era appannaggio della corte e della nobiltà. Il popolo poteva solo assistere e invidiare il fasto dei bennati.
In età Vicereale per il Carnevale
si allestivano nell’area di palazzo (attuale piazza del plebiscito), veri e propri paesi della cuccagna. Macchine scenografiche che riproducevano interi scorci cittadini, ricoperti alla cima di ogni ben di Dio. Per arrivare ad accaparrarsene un pezzo però si dovevano scalare le finte mura cosparse di grasso, dopo aver lottato strenuamente con una moltitudine di contendenti. Divertimento spregevole per una aristocrazia malata che, affacciata alle finestre di palazzo Reale, si godeva lo spettacolo di un popolo affamato costretto a litigarsi il cibo come gli animali. (Cfr Gleijeses – Festa Farina e Forca).
Nel Settecento e nell’ Ottocento, il popolo si appropria della festa
Un vero sovvertimento dell’ordine costituito, tollerato dai regnanti Borbonici solo per l’ultimo giorno di carnevale. Viaggiatori da tutta Europa, accorrevano in città per partecipare a quei giorni di spensierata follia collettiva. Dai loro racconti apprendiamo che dall’alba fino a notte fonda, per le strade della città sciamavano torme di “compagnoni mascherati”, pronti allo scherzo e alla facezia (Cfr Jean-Claude Richard de Saint-Non)
Le Maschere
Le maschere che avremmo potuto incontrare , oltre al famoso Pulcinella, erano Matamoros (soldato spaccone e codardo). La Vecchia ‘o Carnevale, che rappresentava Pulcinella a cavallo di una anziana donna. Essendo una maschera doppia un unico attore impersonava entrambe i ruoli, ed era uno spasso assistere alle improvvisazioni. Altre maschere prendevano in giro i maggiori professionisti della capitale. Il Paglietta (l’avvocato) recitava immense sproloqui in rima, il Cerusico (il medico) fingeva di opere su improvvisati banchetti, estraendo dalle viscere del paziente tanti oggetti bislacchi. Pascalotto ‘o mast’e festa invece era un uomo travestito da donna che con frizzi e lazzi guidava i cortei carnascialeschi.
Il cuochi del carnevale
Mastro Martino da Como (Martino de Rossi o de Rubeis).Arrivato alla corte aragonese di Napoli, al seguito del Cardinale Ludovico Scarappi Mezzarota nel 1444. A questo eclettico cuoco dobbiamo la nostra riconoscenza per le ricette del passato tramandateci attraverso il libro Arte Coquinaria. Il regnante Alfonso I da vero principe precursore del Rinascimento, aveva favorito letterati e artisti formando intorno a sé un’entourage cosmopolita. Di riflesso anche la cucina napoletana del tempo era un mix di sapori catalani, arabi e mediterranei. Lavoro di Mastro Martino fu quello di estrapolare il meglio di ogni cultura, inventandosi nuove ricette. A lui dobbiamo le prime preparazione con la pasta asciutta (Arte Coquinaria per vermicelli e maccheroni) e sempre a lui dobbiamo la creazione della parola “polpetta”. Polpetta ingrediente essenziale per la prossima ricetta.
La lasagna napoletana
Eccoci arrivati alle regine del carnevale. Le lasagne, anche se nominate per la prima volta nelle “rime dei memoriali bolognesi” nel 1282, la prima ricetta riferita a questa pietanza la troviamo in un testo napoletano scritto alla Corte Angioina. Il manoscritto del Liber de Cocina è il più antico ricettario culinario dell’Occidente Cristiano giunto fino ai giorni nostri. Chiamate Lasanis, erano striscie di pasta preventivamente bollite, disposte a strati alternati con farcitura di formaggi e spezie. (Cfr Angelo Forgione, Storia delle lasagne tra Napoli e Bologna). Solo nel 1634, secondo l’opera del napoletano Crisci “La lucerna dei cortegiani”, si aggiunsero latticini e ripassata nel forno. La lasagna napoletana quella che tutti abbiamo assaggiato con delizia, vide la luce solo nel 1881.Il “principe dei cuochi” Francesco di Palma ne definì la ricetta: strisce di pasta (preparate senza aggiungere uova), ricotta, polpettine di carne, formaggio e aggiunta di salsa al ragù preparato con cotiche di maiale e braciole vaccine.
Il migliaccio
Conosciuto nelle sue varianti “dolce o rustico”, è una tipica pietanza di origini contadine. La sua preparazione originale, che risale al periodo medioevale, prevedeva come ingredienti principali, farina di miglio e sangue di maiale. Ad insaporire il tutto pezzetti d’insaccati, pepe e formaggio caprino (cfr Martino da Como– Arte Coquinaria, libro IV). Nei conventi napoletano settecenteschi, il sangue di maiale venne sostituito con la ricotta, mentre la semola con le rimanenza di pasta asciutta. Si aggiunsero canditi e acqua di millefiori. Uno squisito esempio di pietanza riciclata.
Sanguinaccio e Chiacchiere
Crema densa di cacao amaro, mescolato a zucchero e sangue di maiale, questa è la versione originale del sanguinaccio. Sembrerà raccapricciante l’uso del sangue animale come ingrediente, in realtà era pratica comune servirsene in cucina fin quasi alla fine del secolo scorso. Il sangue veniva raccolto al momento della macellazione in budelli di maiale, previa essere stato filtrato in pezze di lino. Si poteva anche far solidificare stagionandolo mischiato alle spezie, per usarlo come sostituto della carne. (Il famoso fegato alla scarpariello altro non era che sangue di maiale fritto con le cipolle). Nella crema densa e deliziosamente pastosa attualmente preparata, il sangue è sostituito dal latte, dalla farina e dall’amido di mais. Mescolati a vaniglia e cannella, che gli donano quell’irresistibile profumo, viene degustato accompagnato dalle Chiacchiere. Strisce di pasta dolce fritte e spolverate di zucchero a velo.
Scàgliuozzoli o Scagliùzzielli
Sempre legate alla tradizione contadina gli scàgliuozzoli sono triangoli di polenta o mais, farciti di salame piccante o ciccioli di grasso. Pepe nero e formaggio romano a volontà o poi fritti in olio bollente. Il nome deriverebbe da scaglia, per la forma simile al basolato, oppure da una moneta d’oro di età Angioina detta scaglio (pezzetti d’oro infatti sembrano appena pronti).
Maschere, chiacchiere e Carnevale napoletano.
augurandoci che il Mondo pensi al divertimento ed alla Pace aborrendo ogni guerra ed ogni forma di conflitto