” È lecito, anzi doveroso, estirpare un membro malato per salvare tutto il corpo. Così quando una persona è divenuta un pericolo per la comunità, o è causa di corruzione per gli altri, essa deve essere eliminata”San Tommaso d’Aquino:Summa Theologiae -II -II, 29 art. 37452
Nel corso del XV – XVI secolo si assiste al trionfo della violenza legale in nome della Ragione di Stato. La pena di morte, preceduta da ogni sorta di tortura, viene comminata con molta larghezza, anche in caso di reati minori. La frequenza di esecuzioni criminali non migliora certo la percezione di sicurezza nelle grandi città, anzi condanna le famiglie dei condannati ad una esistenza di stenti e rapina.
La Nascita della Confraternita dei Bianchi della Giustizia
In tutta Europa fiorirono le associazioni caritatevoli che si occupavano di questi derelitti. A Napoli, popolosissima capitale del regno aragonese, venne fondata la Confraternita dei Bianchi della Giustizia ad opera del francescano San Giacomo della Marca nel 1430. Al tempo le istituzioni misericordiose operanti nel regno erano diverse. Il quadro d’azione delle stesse ampio: dal semplice culto destinato ad un unico Santo alle iniziative rivolte al sociale. Compito precipuo della Confraternita dei Bianchi della Giustizia era l’assistenza, spirituale e terrena dei condannati a morte . Infatti i confratelli non si limitavano alle sole esigenze morali dei morituri: li accompagnavano al patibolo, curavano le loro ultime volontà, li seppellivano in terra consacrata ad esecuzione avvenuta. L’opera continuava facendosi carico delle necessità delle famiglie rimaste prive di sostentamento. Fu detta dei Bianchi per il colore del saio indossato e del lungo cappuccio conico che li nascondeva alla vista del mondo. Sede dei Bianchi della Giustizia fu il chiostro del monastero di San Pietro ad Aram fino al 1534, anno in cui si trasferirono presso l’Ospedale degli Incurabili. La stessa fondatrice del nosocomio più grande del regno, Maria Longo, mise a loro disposizione dei locali dove poter svolgere la loro attività d’assistenza agli ultimi. La confraternita che agli inizi si finanziava con la semplice questua fatta per strada in nome delle anime dei condannati a morte, divenne in circa un secolo una facoltosa istituzione. Il riconoscimento canonico di papa Clemente VII nel 1525, diede lustro e visibilità alle opere meritorie dei confratelli, attirando gli ingenti donativi e le prebende di una nobiltà spietata ma pronta a comprarsi il paradiso con l’elemosina.
Santa Maria Succurre Miseris: lo scrigno Baracco
Per avere un’idea delle ricchezze incamerate basta dare un’occhiata al magnifico scrigno che è Santa Maria Succure Miseris, loro cappella nel complesso Incurabilino. Al suo interno opere di Dionisio Lazzari, Josè de Ribera, Giovan Battista Beinaschi, Pacecco de Rosa, Giovanni Merliano da Nola, Lorenzo Vaccaro, Paolo de Matteis, solo per citarne alcuni. Capiamo perchè tale chiesa viene considerata ” il gioiello della corona del Barocco Napoletano”. Intarsi lignei, affreschi, statue. Un complesso apparato decorativo che conserva quasi intatta la sua bellezza. Ma l’opera che ha più colpito i visitatori di tutti i tempi (da Goethe a Salvatore Di Giacomo, da Canova a Wagner) è l’impressionate statua conosciuta con il nome de “La scandalosa”.
L’opera in cera rappresenta, con vivido ed impressionante realismo, gli effetti devastanti della sifilide sul volto di una giovane ragazza. Si aggiungono a questi i primi segni del disfacimento post mortem, gli insetti necrofagi ed i ratti. Raccapricciante “memento mori” tipicamente barocco. Ci racconta il canonico Celano, storico dell’arte sacra napoletana vissuto nel XVII secolo, che questa statua venisse mostrata alle “giovani pericolanti”. Le ragazze figlie dei condannati, che per fame o miseria potevano pensare alla prostituzione come una forma facile per sopravvivere, come monito e come deterrente. Una forma di pubblicità progresso del passato. Altra curiosità, nei locali musealizzati e gestiti dal Museo delle Arti Sanitarie, vi si possono ammirare anche oggetti personali appartenuti ai condannati a morte e le corde usate per le impiccagioni. Le stesse venivano requisite alla fine di ogni esecuzione per non consentire al popolo di ricavarne “blasfemi amuleti” e farne commercio.
Confraternita dei Bianchi della Giustizia: i Registri delle esecuzioni
I Registri della Compagnia dei Bianchi della Giustizia rappresntano un dato statistico inquitante. Oltre 4000 esecuzioni capitali registrate nel “breve” spazio di tempo che va dal 1562 al 1862 (anno dello scioglimento forzato della congrega imposto dagli “unificatori” Savoia). 226 scrivani si sono alternati in questi tre secoli per farci pervenire i nomi, le professioni, le motivazioni delle condanne di tutti i passati sotto la scure del boia alla Vicaria o sui patiboli di Piazza Mercato, altrimenti detto cancellati dalla storia da un colpo di mannia o un tiro di fune. I preziosi Registri della Congregazione dei Bianchi della Giustizia, inventariati dal prof. Antonio Illibato, sono attualmente custoditi presso l’Archivio Storico Diocesano di Napoli. In essi sono presenti importanti documenti che rimandano ad alcuni rilevanti eventi della storia cittadina. Come la Rivoluzione del 1799, che vide i Bianchi confortare i rivoluzionari condannati a morte, tra i quali: Domenico Cirillo, Eleonora Pimentel Fonseca, Gennaro Serra di Cassano, Mario Pagano, Vincenzo Russo e Luigia Sanfelice (cit. sito MAS).
In galera li panettierimò ca s’erano ingranduti
nun vedevano li paputi
ca turnavano comm”a ieri
in galera li panettieri.Villanella popolare che ricorda l’episodio storico della “Rivolta della Farina” del 1585 – “li paputi” (gli incappucciati) era il termine vernacolare che indicava gli appartenenti alla Compagnia dei Bianchi della Giustizia
“La rivolta della Farina“
Nel 1585 il viceré duca di Ossuna per contribuire allo sforzo bellico nelle Fiandre, ordinò di far esportare il grano napoletano in Spagna. Questa scellerata decisione provocò un’impennata del prezzo del pane, alimento principe della tavola dei popolani. Violente rivolte scoppiarono in città, molti insorti si diedero al saccheggio. I rivoltosi indicarono come maggiore responsabile della crisi l’eletto del Popolo presso il governo cittadino, tale Giovanni Vincenzo Starace, reo per non essersi opposto alle decisioni del duca di Ossuna. Il 9 Maggio la folla inferocita rintracciò il suo rappresentante, che nel frattempo aveva trovato asilo presso la chiesa di Sant’Agostino alla zecca. Raggiunto dai manifestanti fu prima sottoposto ad una gragnuola di pugni e sputi poi ferito al petto da una coltellata. In fin di vita fu trasportato agonizzante presso la Piazza della Selleria e lapidato. Post mortem fu squartato e smembrato, le cronache del tempo raccontano che il suo cuore fu mangiato dalla folla e le sue membra disperse ai quattro angoli della città.
Un caso emblematico di repressione
Il pane tornò sulle tavole al prezzo di prima della crisi, la rivolta si spense ed iniziarono le rappresaglie della giustizia. In breve tempo furono arrestate 400 partecipanti ai tumulti, il tribunale commino 36 condanne a morte, 18 ergastoli, 300 espulsioni dal regno, e fustigazione pubblica per tutti gli arrestati. La Confraternita dei Bianchi della Giustizia ebbe un gran da fare: dal 24 Luglio fino a Novembre venne eseguita una condanna capitale al giorno. Il condannato camminava tra ali di folla, accompagnato dai Confratelli, negli stessi luoghi dov’era avvenuto il massacro dell’eletto del popolo, ricevendo la fustigazione. Arrivato in piazza Mercato, sul patibolo permanentemente allestito, veniva prima tormentato con una pinza rovente poi impiccato, ancora agonizzante il boia lo squartava. A nulla valsero le rimostranze dei Bianchi, i resti dei condannati non furono affidati alla tomba. Il viceré fece erigere un macabro monumento esposto alla Chiavica della Selleria (attuale Piazza Nicola Amore). Li dove sorgeva la casa del capo della ricolta Giovan Leonardo Pisano, rimasero esposte per dieci mesi, sulla macabra macchina barocca, le membra e le teste dei 36 condannati.