Rethinking Nature: una mostra all’insegna dell’ecologia nel senso più ampio del termine è quella in corso al Museo Madre di Napoli, e che sarà ancora visitabile fino al 02.05.2022
L’accelerazione del riscaldamento globale, l’innalzamento dei mari, l’estinzione in massa di numerose specie, recenti anomalie meteorologiche, gli incontrollabili flussi e infiltrazioni di tossicità: questa situazione in costante aggravamento non può essere separata dal paradigma europeo moderno che concepisce la natura come un serbatoio di risorse da sfruttare liberamente per il profitto.
Rethinking Nature (a cura di Kathryn Weir con la curatrice associata Ilaria Conti) offre infatti una panoramica su come l’arte contemporanea si impegni ad offrire un approccio diverso da quel paradigma europeo moderno nel concepire la natura come una fonte da sfruttare.
Per l’occasione vengono presentate 15 nuove produzioni in anteprima internazionale, più di 50 opere realizzate da oltre 40 artisti e collettivi provenienti da 22 paesi.
La mostra si pone come uno spazio multidisciplinare, e attraverso le opere imposta un pensiero relazionale che lavora sulla rottura della dicotomia uomo-natura – caratterizzante le scienze illuministiche europee – dando spazio agli elementi della natura e rompendone il rapporto di subalternità.
Adriana Bustos – Bestiario de Indias I
La mostra si apre con un’introduzione sulle radici storiche e filosofiche di una visione imperialista della natura in quanto fonte di guadagno. Adriana Bustos, grazie ad una ricerca su archivi e cronache di colonizzatori, ricompone le immagini in questa costellazione iconografica.
Si tratta di rappresentazioni influenzate da un filtro della visione razzializzante che riflettono sui pregiudizi religiosi e sociali presenti nei bestiari medievali.
Si riflette quindi su quello che appare come un vero e proprio processo di bestializzazione dei popoli ritratti, al fine di legittimare il genocidio e l’espropriazione territoriale dei secoli successivi
Yasmin Smith – Terra dei fuochi
L’opera in questione si struttura su una metodologia che l’artista ha applicato in diverse aree geografiche (Australia, Cina, Francia).
Per Rethinking Nature l’artista ha lavorato sull’omonimo territorio campano: un’area con un’estensione di oltre 1.000 chilometri quadrati, che è stata luogo di smaltimento illegale di rifiuti fin dagli anni ’80 e prende il nome dai roghi attraverso cui i rifiuti che non possono essere seppelliti vengono smaltiti.
In collaborazione con Massimo Fagnano – professore di Agronomia all’Università di Napoli Federico II – sono stati piantati dei pioppi nella terra dei fuochi per attivare un processo di fitorisanamento: gli alberi assorbono i metalli pesanti dal suolo contaminato (nel caso degli alberi utilizzati nella ricerca Smith, cromo e zinco provenienti da scarti di conceria).
Prelevati frammenti di albero vengono successivamente bruciati al fine di ottenere smalti derivati dalle ceneri, che saranno poi applicati sulle ceramiche ottenute dai calchi della pianta.
In questo modo lo smalto, che dopo il processo di combustione trattiene le impurità, permette di visualizzare la tossicità, materializzando all’esterno e rendendo visibile ciò che di solito non si vede poiché racchiuso nel corpo della pianta.
Grazie a quest’operazione Fagnano ha scoperto che un ruolo fondamentale spetta al suolo vulcanico locale, che neutralizza la tossicità cambiando la propria composizione atomica
Gli elementi contaminanti vengono così trattenuti nel suolo, in uno straordinario meccanismo sistemico di autoguarigione delle ecologie locali.
Come notato dall’artista: «Il biorisanamento ci mostra che il suolo e le piante hanno l’incredibile capacità di riabilitarsi dalle attività distruttive compiute da alcuni umani, e sono, in questo caso, un emblema di legalità. Le piante stanno svolgendo al posto degli esseri umani un lavoro di salvataggio e di restituzione ad uso sicuro del suolo».
Sebastián Calfuqueo Aliste – Kowkülen (Ser líquido)
Se nel ’72 Gina Pane poneva l’attenzione verso il nostro pianeta anticipando alcuni temi ecologisti con la performance Terra protetta, Ser liquido può intendersi come un ulteriore sviluppo della medesima tematica, ma in chiave più fluida. Infatti l’uso del corpo, in quel caso vitruviano, può dirsi ora democratizzato attraverso uno sguardo che va oltre i limiti circoscritti di una visione occidentalizzante.
In entrambi i casi il volto viene messo da parte a favore di un paesaggio che si fa protagonista
In quest’opera il corpo dell’artista è sospeso nell’acqua che, attraverso l’interpretazione mapuche, è considerata uno spirito vivente. Intendendola inoltre come una metafora della fluidità di genere, si va ad instaurare quindi una relazione non antropocentrica tra corpo e territorio.
Importante ricordare che l’opera è stata realizzata nel 2019 nella zona di Curacautín durante i mesi di rivolte contro la disuguaglianza sociale che hanno avuto luogo Santiago, la capitale del Cile.
Forte è infatti la matrice politica, che si sublima in un testo poetico scritto dall’artista in lingua mapudungun – ancora non ufficialmente riconosciuta in Cile – che ci parla delle azioni ostili di Pinochet nei riguardi dei territori Mapuche, come è stata appunto la privatizzazione dell’acqua stessa.