In un precedente capitolo di Riscopriamo Napoli, abbiamo avuto modo di approfondire le disavventure di un gesuita napoletano che partì alla volta del Giappone con l’obbiettivo di portare l’arte e la religione cristiana. In questo quartodicesimo paragrafo, tratteremo di un nuovo scambio culturale napoletano nipponico, ma al contrario. Poco più di cento anni fa un uomo di nome Harukichi Shimoi si trasferì in Italia dove per lunghi anni esercitò la docenza a Napoli.
Il Giappone alla riscossa: il periodo Meijii
Ma come si spiega l’amore che Harukichi nutriva nei riguardi di Napoli? Per scoprirlo, dobbiamo fare un rapido salto nel XIX° secolo quando il Giappone uscì dal lungo isolamento del periodo Tokugawa. Il nuovo imperatore Mutsuhito spese tutte le sue energie per un ambizioso progetto di rimordenizazzione dell’arcipelago nipponico sotto ogni aspetto. Aveva così inizio il periodo Meijii, termine giapponese che significa “Governo illuminato”, dove in poco più di quarant’anni il Giappone si trasformerà in una potenza imperalistica e capitalistica.
Questa esigenza di modernizzazione nasceva non solo dal desiderio di voler far crescere il Giappone, ma anche dalla paura dello straniero occidentale che in quegli anni aveva iniziato ad espendere i suoi imperi coloniali nella regione asiatica. La rimordenizzazione giapponese doveva servire a scoraggiare qualunque tentativo da parte delle potenze estere di avviare una conquista coloniale nell’arcipelago nipponico.
In poco tempo le riforme promosse dall’imperatore abbatterono progressivamente il sistema feudale. Si trattava di una rimodernizzazione imitativa che prendeva da modello i sistemi politici economici francesi, inglesi e tedeschi. Inoltre, le riforme venivano varate con eccessiva prudenza poichè le autorità temevano che un eccessiva ocidentalizzazione avrebbe compromesso l’identità e la cultura giapponesi.
Nel giro di quarant’anni, il Giappone riuscirà nei suoi scopi di ottenere lo status di potenza, tanto che lo stesso governo britannico lo definì come l’unico paese straniero ad avercela fatta. La vittoria conseguita contro la Russia, d’altra parte, lanciò un preciso messaggio a tutto il mondo: il Giappone non si sarebbe di certo lasciato conquistare.
Harukichi Shimoi: il primo fan giapponese di Dante
Quarto figlio di un nobile samurai, Harukichi Shimoi nasce nella prefettura di Fukuoka nel 1883. La sua formazione avvenne nell’insegna del fascino esercitato dal mondo occidentale tanto da studiare la lingua italiana all’Università di Tokyo. Completerà i suoi studi di lingua alla Gaikoku-go-Gakko, la Scuola Speciale di Lingue Straniere, grazie alla quale riuscirà a padroneggiare la lingua italiana.
I suoi studi avranno una svolta inaspettata quando il critico letterario Bin Ueda lo colse sotto la sua ala protettrice. Dal suo mentore Harukichi erediterà la passione verso Dante Alighieri e la sua Divina Commedia. L’amore che nutre verso il poeta fiorentino fu talmente profondo che lo stesso Harukichi fondò un apposita scuola, il Dante Tokoshan e persino una biblioteca ove raccogliere tutti i testi che riusciva ad ottenere.
Questi primi esperimenti di lingua italiana non diede i risultati sperati. Gli studenti ebbero grosse difficoltà nel comprendere i sonetti del Sommo poeta a causa della difficoltà di comprendonio del fiornetino. Senza contare, poi, che le uniche fonti della Divina Commedia provenivano dalla versione inglese, fornendo una versione distorta dell’opera. Per queste ragioni Harukichi decise di trasferirsi in Italia con l’intento di conoscere più da vicino la terra che ha dato il natale al suo eroe della letteratura.
Il giapponese “fuggiasco” a Napoli
Il sogno di raggiungere l’Italia si coronò nel 1911, quando Harukichi giunse a Napoli. Potete immaginare l’emozione che un giapponese provò sapendo di dover visitare una città lontana nello spazio e da casa sua. Shimoi, pur sapendo che Napoli non aveva forti legami con Dante Alighieri, rimase completamente affascinato dal clima e dall’ambiente napoletani.
La penisola Sorrentina, serena e coronata degli oliveti e degli aranceti, è così incantevole che ci sembra una visione; è di bellezza femminile; mentre l’isola di Capri e la costiera amalfitana sorgono maestose dal mare azzurro come le mura gigantesche che cingono il golfo di Napoli; è di bellezza maschile
Grazie all’intercessione dell’amico Gherardo Marone (un intellettuale argentino), questo novello esploratore giapponese frequentò la crema dei salotti culturali napoletani. Ebbe anche modo di allacciare un solidale rapporto con Bendetto Croce, principale personalità di spicco della classe intelettuale italiana. Fu grazie a questi vivaci scambi culturali che Shimoi imparò a padroneggiare il dialetto napoletano.
A tal porposito c’è un curioso episodio. Di ritorno da Roma, Shimoi chiese ad un cocchiere di accompagnarlo a casa del suo amico Ermete Gaeta. Notando i suoi tratti asiatici, il conducente non nascose le sue intenzioni di spillargli una somma esosa per il servizio. Il giapponese si rese conto dell’inganno e lo afferrò per il bavaro esrpimendo una risposta con un napoletano così perfetto che il conducente commentò: Chisto è cchiù napulitano ‘e me!
Dal 1915 incomincia ad insegnare il giapponese all’Orientale di Napoli. Stando alla prefazione della sua opera magna, La Guerra italiana vista da un giapponese, Harukichi ha dovuto sostituire un suo connazionale, il Professor Hidezo Simotomai. Questi era un geologo che si recò a Napoli per studiare il Vesuvio e che per puro caso si ritrovò ad insegnare la sua lingua in una delle più facoltose università napoletane.
L’ardito giapponese
La parola guerra ci da un’idea di agitazione, confusione, disordine, inquietitudine. […] ma invece qua domina una calma perfetta.
Nel 1917 Harukichi abbandonò temporaneamente la cattedra per arruolarsi nel Regio Esercito come corrispondente postale. La sua esperienza al fronte italiano ci è testimoniato nella sua opera La Guerra italiana vista da un giapponese. Rispetto a molti altri commilitoni, Shimoi conserva un ricordo positivo della Grande Guerra. Nelle pagine del suo libro il giapponese esalta i principi della pietà e della calma sorti in mezzo al pantano, ai bombardamenti ed alle esplosioni delle granate.
Durante la sua esperienza al fronte, farà la conoscenza del generale napoletano Armando Diaz. Fu grazie ai rapporti con il comandanto del Regio Esercito che Harukichi si unisce al corpo degli Arditi, insegnando ai commilitoni tutti i segreti delle arti marziali. Sempre nel fronte italiano consoliderà la sua amicizia anche con Gabriele D’Annunzio, arrivando anche a partecipare con lui all’impresa di Fiume.
Il fascista giapponese
Una volta conclusa la Grande Guerra, Harukichi fece ritorno a Napoli, dove fondò la rivista di letteratura giapponese Sakura. L’esperimento editoriale ebbe, tuttavia, vita breve a causa del coinvolgimento di Harukichi negli avvenimenti che sconvolsero l’Italia.
Negli anni venti il giapponese non nascose le sue simpatie per il fascismo di Mussolini, in cui vedeva l’espressione dei valori del futurismo e del bushido. Per questo partecipò alla marcia forzata di Roma e successivamente supportò la via diplomatica sorta con l’Asse Roma- berlino e Tokyo.
Proprio per portare avanti questa linea, Harukichi fece ritorno in patria nel 1934, abbandonando così la sua amata Napoli dopo una permanenza durata quasi vent’anni. Poco prima della sua partenza, Harukichi fece un’ultima cosa: visitò le rovine di Pompei, alle quali dedicherà la poesia intitolata Shinto Ponpeo o tou tame ni.