Accattate Ca’ ‘o Bambinello nc’e pensa
(Traducibile in “Spendete pure senza parsimonia che il Bambino Gesù provvederà ai vostri bisogni“)
Antico richiamo dei venditori ambulanti napoletani
la vigilia di Natale: al menù napoletano tradizionale si arriva attraverso un percorso lungo e complesso. File dai negozianti per accaparrarsi gli alimenti migliori, diverse ore di applicazione ai fornelli. Le pietanze che incontreremo saranno tutte rigorosamente prive di carne. Questo in ossequio alla tradizione Cristiana che ne vietava il consumo alla vigilia delle feste di precetto. Lo storico e docente Massimo Montanari, nel suo libro “Cibo come cultura”, illustra come ogni azione legata al cibo porta con sé una storia ed esprime una cultura complessa. Le tante portate del menù partenopeo sono tutte legate a storie e curiosità che cercheremo di illustrare brevemente.
l’Alchemico spaghetto a vongole
La prima portata del menù napoletano della vigilia di Natale è ‘o spaghetto a vongole. L’abbinamento di frutti di mare alla pasta è tipico di tutti i paesi rivieraschi italiani. La peculiarità tutta napoletana è da ricercare nell’aggiunta del prezzemolo a crudo. ‘O prutrusino (dal latino Petroselinum crispum) fino al tardo Rinascimento fu usato soprattutto in infusione per la sua presunta capacità di “prevenire gravidanze indesiderate o per procurare aborti”. Nel gioco alchemico dei contrasti dei diversi ingredienti, per compensare la notoria carica afrodisiaca delle vongole si pensò di aggiungere l’elemento di opposta valenza. (Cfr Bartolomeo Scappi, lo scalco alla moderna, 1649).
proverbi e scuole di pensiero
Una curiosità, il proverbio ” ‘e Vongole p’a crianza ‘e Lupini p’a sustanza” (le vongole per ossequio agli ospiti i lupini per il maggior sapore) indica due diverse scuole di pensiero ai fornelli. Le vongole adriatiche sono di maggior pregio e dimensione rispetto alle Vongole lupine. Queste ultime però sono “paisanelle” (autoctone del mare napoletano) e di maggior sapore. A voi la scelta.
la vigilia di Natale, il menù napoletano: Capitone
Il capitone è la femmina dell’anguilla. Il nome deriva dalla grande testa di questo esemplare della famiglia delle Anguillidae (dal latino Anguis=serpente). Fino al XVIII secolo si credeva che le anguille fossero pesci asessuati e che nascessero, per generazione spontanea, nei terreni fangosi. In realtà i capitoni, per arrivare sulle nostre tavole, compiono un viaggio di oltre 6000 km in tre anni. Nascono infatti nel Mar dei Sargassi e si diffondono da lì in tutto il globo grazie alle correnti oceaniche. La sua forza gli permette di vivere in acque dolci o salate. Addirittura sopravvivere fino a 48 ore fuori dall’acqua comportandosi come un rettile.
tra sacro e profano
Proprio per la sua similitudine al serpente è stato inserito nelle portate del menù della vigilia. Il serpente che tentò Adamo ed Eva. Nel libro della Genesi il richiamo profetici dell’avvenuto della Madonna: “la donna ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”. (l’Immacolata Concezione viene infatti rappresenta mentre calpesta il serpente). Per questo motivo ad uccidere e preparare questo insidioso animale è prerogativa “rituale” delle donne di casa. In quel mix tutto partenopeo tra religiosità e paganesimo, c’è chi individua nel capitone un simbolo atropopaico . In napoletano infatti, è detto anche “maliziosamente” sguarramazzo alludendo alla forma fallica. Forse da questo nasce l’affermazione “mangialo per buon augurio“, cioè per propiziarsi la buona sorte.
le origini del baccalà
Il merluzzo nordico grigio, eviscerato e salato, proviene dai Paesi Scandinavi. Il nome baccalà deriva infatti dall’espressioni norrene “Bakal-Jau” (pesce salato) oppure “Bakkal-Jau“(duro come una corda). Era largamente usato dai prodigiosi navigatori vichinghi per la facilità di conservazione e l’alto valore nutrivo. A Napoli arrivò sulle tavole, alla fine del Cinquecento grazie alla sosta in rada delle spedizioni portoghesi verso le Indie orientali. Dal buon sapore e dal prezzo (allora) molto conveniente, entrò subito nelle case dei meno abbienti per sostituire il più costoso pesce fresco nel menù della vigilia.
La complessa preparazione
L’intero merluzzo essiccato viene detto ‘scella (ala) per la sua somiglianza alle ali di un angelo. Prima di cucinarlo il baccalà va reidratato infondendolo per giorni nell’acqua, la quale va spesso sostituita per liberarlo dal sale. Gli antichi Baccalajuoli si portavano nella tomba il segreto della corretta esecuzione della “spugnatura“, passaggio fondamentale che influisce sul sapore finale. Un volta idratata la scella viene suddivisa in mussillo (la parte centrale, alta e dal bianco candido usata per farla in umido con l’aggiunta di olio d’oliva e olive bianche) le scelletelle (parti laterali, ottime per la frittura) e le morzelle (scarti della divisione, tagliati a pezzettini e fritti in una miscela di acqua e farina detta pastella o pastetta).
L’insalata di rinforzo
Il mix a base di cavolo lesso, papaccelle (peperoni piccanti in salamoia), giardiniera (carote, cipolline, sedano sempre in salamoia), olive e acciughe è detta di Rinforzo. Visto che per i napoletani “ ‘o pesce se squaglia int’a panza” (il pesce è poco nutriente) ci si poteva rifare con un contorno così vario e sostanzioso.
Broccoli di Natale
‘ e Vruoccol ‘e fronna (broccoli a foglia larga) venivano piantati, sin dall’età Angioina, sulla collina del Vomero. Larghissimo uso ne faceva il popolo napoletano detto in maniera sprezzante “magna fronne“. Il nome deriva dal latino Broccum (germoglio). I broccoli bolliti dal sapore amarognolo, conditi con aglio e limone, sono il degno accompagnamento per baccalà e capitone, e servono a smorzarne il sapore salato o grasso.
Spassatiempo e Ciocie
Le noci e fichi di Sorrento, le nocciole di Avella, le castagne n’furnate (infornate) dette d’o prevete (prete) perché fatte nei monasteri di Mercogliano, i ceci e i semi di zucca tostati vengono detti Spassatiempo (perdi tempo, divertimento) o Ciocie (sciocchezze, cianfrusaglie). Vengono messe a tavola per intrattenere, gustosamente, i commensali in attesa delle pietanze. Nell’ottica popolare del riutilizzo, anche le bucce venivano conservate per usarle come segna numeri durante le tirate di tombola, gustando i Dolci
IL menù napoletano della vigilia come atto d’amore
Cucinare pranzi luculliani diventa un pretesto conviviale, l’incarnazione della filosofia dell’accoglienza tanto cara al popolo napoletano. Come diceva l’autore della Fisiologia del gusto, Anthelme Brillat-Savarin: “Invitare qualcuno a pranzo vuol dire incaricarsi della felicità di questa persona durante le ore che egli passa sotto il vostro tetto”.