Quando i napoletani non sono impegnati a fare il presepe, sognano di farlo
Italo Sarcone – Il sogno di Benino –
Il filosofo Adrian Wolfgang Martin, paragonava i napoletani alla divinità Giano bifronte per comprendere il loro vero carattere , sospeso tra bestemmia e preghiera, tra male e bene, tra cristianesimo e paganesimo. Anche il Presepe, massima rappresentazione del Sacralità, diviene pretesto per diffondere messaggi riservati agli iniziati.
Le origini del presepe napoletano
La rappresentazione della Natività a Napoli ricorre in diverse chiese (Santa Maria del Parto, Santi Severino e Sossio ecc.). Ma il presepe rappresentato anche da figure della quotidianità (artigiani, contadini, pastori ecc.) venne introdotto in città da San Gaetano Thiene. Il racconto agiografico del Santo vicentino narra di una visione della Madonna che gli porse Gesù Bambino tra le braccia, invitandolo a diffondere il culto della Natività tra la povera gente.
Gaetano, priore a Napoli della chiesa di San Paolo Maggiore ai Decumani, ebbe l’idea di attualizzare il messaggio evangelico e renderlo accessibile alle masse ignoranti. In un tema caro alla Controriforma , l’arte figurativa paragonata alla Biblia pauperum, iniziò a far costruire statuine rappresentanti scene di vita da affiancare all’evento sacro. Per tale incarico furono scelti gli artigiani (figurai) della vicina via San Gregorio armeno, già specializzati nella realizzazione di immagini sacre.
Il presepe nel secolo d’oro
A Padre Gregorio Maria Rocco , frate domenicano molto influente nella Napoli del Settecento, dobbiamo la diffusione del presepe nelle case dei napoletani. Una vera passione lo animò nella costruzione di ardite scenografie presepiali. Una passione che riuscì a trasmettere non solo al popolo ma che contagiò Carlo III , la regina Maria Amalia e, di conseguenza, tutta la corte reale. Il presepe, fino a quel momento appannaggio degli edifici di culto, arrivò nelle case dei patrizi e, quella che era una semplice capanna si trovò al centro di una vera e propria città, non la Betlemme dell’anno zero, ma la Napoli post barocca, con le sue architetture e i suoi popolani dai mille mestieri.
Il presepe esoterico-massonico
Il sapere massonico e la cultura alchemica iniziano a mescolarsi con l’arte presepiale con l’ascesa al trono di Napoli di Maria Carolina d’Asburgo Lorena. La nuova regina si circondò a corte di uomini di cultura illuministi e massoni, favorì le logge e la fondazione della Gran Loggia nazionale.
Il presepe, amatissimo a casa Borbone, iniziò a cambiare nelle scenografie ed arricchirsi di nuovi personaggi che diverranno poi canonici. Divertissement di corte fu quello di inserire simbologie iniziatiche in quello che stava diventando un vero e proprio fenomeno di costume a livello europeo.
Le scenografie ispirate all’alchimia
Grande o piccolo che sia il presepe iniziatico avrà tre capienti grotte. Richiami a simboli massonici ed alchemici. indispensabili per compiere la “Magnus opus” la Grande Opera. Diversi passaggi che conducono gradualmente alla metamorfosi personale e spirituale dell’alchimista, ai quali corrispondono, secondo la tradizione ermetica, altrettanti processi di laboratorio caratterizzati da specifici cambiamenti di colore, metafore del percorso iniziatico di purificazione.
L’osteria, ed il “Nigredo”
La grotta di sinistra che ospita l’osteria è il simbolo dell’Inferno, l’oste rappresenta il Grande ingannatore. Satana, pronto ad irretire gli uomini soddisfacendo i loro bisogni terreni e allontanandoli dalla dimensione spirituale. Lo stato alchemico è il “nigredo“, che indica il primo stadio di trasformazione della materia ancora grezza. La notte eterna, l’inverno, il dio Saturno che divorava i suoi figli.
Il corteo degli Dei perduti e “l’Albedo”
La grotta di destra è occupata dal un colorato corteo, quello che la tradizione popolare chiama: del pastore Ciccibacco. Dal volto rubizzo e dal cappello frigio, Ciccibacco è assiso su di un carretto tirato da buoi che trasporta botti di vino. Lo segue un corteo di personaggi vestiti di pelle di animali e dall’aria brilla. Ciccibacco è l’alter ego del dio Dioniso ed il corteo sono gli dei pagani al suo seguito. Il significato alchemico nascosto cela la fase detta “albedo” associato alla purificazione. I vecchi dei, ormai soppiantati nel cuore dei fedeli, vanno a porgere lo scettro al Cristo Gesù, nuova luce delle genti.
La grotta della Natività e il “Rubedo”
Nel centro della sacra rappresentazione la scena della Natività. Il bambinello nella mangiatoia scaldato dal fiato animale dell’asino e del bue. Allora cosa c’entra quel fuoco che arde? Il fuoco è il simbolo del Rubedo, del compimento della Magna Opera. Cristo, novello Prometeo che dona nuova vita agli uomini, attraverso il fuoco della fede. Il Matrimonio tra Anima e Spirito che si compie alla fine del viaggio iniziatico. Infatti, in napoletano non si usa l’espressione Guardare il presepe, ma Visitare il Presepe. Termine che richiama al Viaggio, un viaggio che non avrà mai fine
Il personaggi popolari
Pur se lontano dal sapere iniziatico anche il popolo attribuì un nome ed un significato altro a tutti i pastori. Cosi i vari mestieri rappresentavano i mesi dell’anno a loro associati (Gennaio sarà indicato dal Macellaio, Febbraio dal venditore di Formaggi, Marzo dal Pollivendolo e così via). I due compari seduti al tavolo chiamati zì Vicienzo e zì Pascale sono la metafora dei Solstizi, ma anche della Vita e della Morte. Il pastore dormiente, chiamato Benino, figura il sonno dell’umanità prima dell’avvento di Cristo, l’età dei “gentili“. Ma guai a svegliarlo: di colpo il presepe sparirebbe. Tanti altri ancora che per questione di tempo non citeremo tutti.
Uno sterminato lavoro antropologico, frutto di una vita di ricerche fatte dal professor Italo Sarcone, a cui va il nostro ringraziamento.