Perché anche la speranza è un vizio che nessuno riesce mai a togliersi completamente
Una bambina, in abito bianco da prima comunione, viene salvata dal mare con una rete da pesca, così inizia Il Vizio della Speranza, pellicola uscita nelle sale nel 2018 diretta da Edoardo De Angelis.
La bambina è Maria (Pina Turco) abitante di un purgatorio infernale. Una sorta di Caronte al femminile che traghetta prostitute nigeriane alle ultime settimane di gravidanza, così come il “dimonio” dantesco traghetta le povere anime dei defunti all’inferno.
Castel Volturno, nell’organismo della nazione, è un organo secondario, è la milza d’Italia. […] La puoi pure buttare via se proprio devi ma pensaci bene perché ti serve. Castel Volturno è un rifugio di peccatori, donne e uomini in fuga da fame, guerre o semplicemente da fallimenti professionali e personali. Esseri umani in cerca di un luogo dove ricominciare a vivere. Vengono qui perché ci sono molte case abbandonate, un controllo blando della legge, un clima buono, il mare.
Il purgatorio infernale è proprio Castel Volturno, una terra di migranti, fatta di baracche fatiscenti che trasudano il disagio e la violenza di chi le abita.
Aborto clandestino, acque inquinate, riti voodoo, tratta dei bambini, prostituzione sono temi che vengono letteralmente sbattuti in faccia allo spettatore che resta totalmente inerme e non può chiudere gli occhi di fronte a ciò che vede sullo schermo.
Chi osserva non può più far finta che il microcosmo rappresentato sia solo una metafora, ma è reale, e denuncia l’indifferenza verso un’umanità negata.
Un’umanità oppressa per tentare di eliminare da questi corpi vuoti e violati anche quell’ultimo briciolo di speranza alla quale si aggrappano.
Una donna che ritrova il seme della speranza
Maria vive e si nutre nel degrado insieme alle tante anime alla deriva che si muovono tra rifiuti e palazzi fatiscenti.
Privata della sua capacità di generare, è un corpo vuoto, un coccio rotto che viene tenuto insieme solo dal sistema camorristico di Zi Marì (Marina Confalone) e dal bisogno di provvedere ad una madre (Cristina Donadio) e ad una sorella indigenti. Un bisogno che soddisfa più per senso di responsabilità che per affetto.
Il turning point della sua vita sarà proprio in quella piccola speranza che sta crescendo nel suo ventre offeso e ferito.
Maria scopre di aspettare un bambino nonostante il suo corpo abusato. Ha sempre vissuto tra gli ultimi, senza pretese, speranze o desideri. Ha sempre fatto ciò che serve per sopravvivere tra gente miserabile, fin quando non si insinua in lei quel vizio della speranza che le cose possano andare in modo diverso da quell’orizzonte di squallore da lei conosciuto.
Il ventre di Maria è come il letto del fiume, un ricettacolo di oggetti che il fiume ha portato a valle. Oggetti svuotati del loro significato che in questo film vengono ripescati e riempiti di un nuovo significato
Dirà lo stesso De Angelis spiegando il personaggio di Maria: lei è donna archetipica generatrice di qualcosa di nuovo. Il suo ventre martoriato ha in sé il germe di una nuova umanità.
Dal Caronte dantesco a parabola mariana
Nel primordiale e pre-umano microcosmo raccontato dal regista, dove tutto è organizzato da solide regole e chi si ribella alla “comoda” schiavitù è “strunz“, Maria prende una posizione.
La donna stanca di accettare passivamente la sua prigionia, inizia a vivere non nel presente, ma nel desiderio di un futuro diverso, sviluppando un’autonomia di pensiero e di azione acquietati dal controllo e dal potere.
Dopo l’incontro salvifico con Luca Pengue (Massimiliano Rossi), unico uomo e umano in un mondo di miserabili, Maria decide di svestire i suoi panni da “Caronte” e di diventare simbolo di quella rinascita del genere umano in un mondo fatto di ingiustizie e approfittatori.
Il regista accompagna lo spettatore in questa allegoria mariana attraverso lo sguardo della lente di ingrandimento della m.d.p., facendogli strada in una terra offesa e ferita. Accompagnandolo in un mondo dalle tinte cupe e grigie illuminato dal solo vizio di essere umani e di poter ancora sperare.