
Giornata mondiale del cinema
Lo scopo di questa giornata è:
“Dare visibilità in contemporanea mondiale alle opere dei nuovi autori e celebrare i grandi maestri del nostro cinema: è questo il fine della Giornata Mondiale del Cinema Italiano. Celebrata per la prima volta nel 2020, si celebrerà quest’anno il 19 giugno, in collaborazione con gli istituti di cultura e le ambasciate italiane”. (
Ecco quindi una lista – non esaustiva – dei cinque capolavori imperdibili, da scoprire e riscoprire.
Il neorealismo
Uno dei pilastri fondanti del neorealismo cinematografico è “Ladri di biciclette”. Girato nel 1948 è l’esempio della perfetta sinergia fra le capacità di regista di Vittorio De Sica e lo stile narrativo di Cesare Zavattini. Questa pellicola ci mostra alcune caratteristiche proprie dei film neorealisti. Gli ambienti reali, la presenza di attori non professionisti, le tematiche affrontate che in genere riguardano le classi proletarie di operai e contadini. Girato con una certa ristrettezza di mezzi, ma con un utilizzo raffinato della macchina da presa da parte di De Sica. Nessuna morale e nessun lieto fine, asciutto nel descrivere il dramma della condizione umana.
Del 1954, con la regia di Steno, “Un americano a Roma” calca la mano sul genere comico e parodizza gestualità e modi di parlare degli italiani post – secondo dopoguerra. Da una parte un’Italia rifatta con le mani, dall’altra il mito americano, di quella terra soluzione di ogni problema e stile di vita da assorbire e riprodurre. Dall’oltreoceano arrivano riviste, fumetti, piccoli sprazzi di esistenze di eroi e infinite possibilità.
Steno costruisce la storia su un protagonista assoluto, sempre al centro della scena e sempre in mezzo ai guai. Nando Mericoni, interpretato da Alberto Sordi, è un giovane che agogna l’America e le sue luci sfavillanti, trascina nelle sue fantasie tutto il circondario di amici e parenti provocando non pochi problemi. Alla fine, straziato dal suo stesso sogno, minaccia di compiere un gesto estremo. Una pellicola gradevole, ridereccia, che va guardata con gli occhi dell’Italia di allora, per scoprirci tutti grandi sognatori.
Gli Oscar italiani
“La dolce vita” di Fellini si discosta totalmente dal mondo del neorealismo cinematografico. Premio Oscar, Premio al Festival di Cannes, tre Nastri d’Argento, un David di Donatello.
Tutti parlano e hanno sentito parlare de “La dolce vita”, pluripremiato e anche criticato, fiore all’occhiello del cinema italiano del 1960. Tutti hanno in mente una sensuale Anita Ekberg in abito da sera che invita Mastroianni a fare il bagno nella fontana di Trevi.
In una Roma scintillante il protagonista Marcello trascina la propria anima frammentata. Nelle vicende della sua vita da giornalista di cronaca mondana, prende sempre il sopravvento un senso di mancanza, di incompiuto mal celato dal vortice del jet-set. Vale la pena inserire questo super classico fra i film da rivedere per scoprirne l’anima romantica e il tono “in minore”.
Un nuovo giovane classico merita di entrare nella storia assoluta del Cinema Italiano. Interpretato e diretto nel 1997 da Roberto Benigni, vincitore di tre premi Oscar, centoventiquattro minuti di un dramma descritto con delicatezza nel suo orrore: “La vita è bella”.
L’idea geniale è quella di strappare un mezzo sorriso davanti alle trovate fantasiose del protagonista Guido Orefice, interpretato da Benigni. Tenero da sembrare sbucato da una fiaba, giocherellone e quasi giullare nel corteggiare la maestrina di cui si è innamorato.
Guido si aggrappa alla propria fantasia anche quando questa diventa imbarazzante e gli sbatte in faccia che il nazismo è una realtà che gli sta alle calcagna.
Presto ci si rende conto che c’è poco da sorridere ma c’è tanto da proteggere: l’innocenza del figlioletto Giosuè.
Armoniche a bocca, sguardi ghiacciati, febbre sul dito e una colonna sonora che solo Ennio Morricone poteva scrivere. “C’era una volta il west” è un capolavoro western di Sergio Leone uscito nel 1968, quinto film da lui diretto, con la bellissima Claudia Cardinale e Charles Bronson. Di registro più alto rispetto al genere “spaghetti- western”.
L’idea di Leone era di sviluppare una trilogia che partisse dalla guerra dell’ 800, passando per la guerra della rivoluzione Irlandese e Messicana nel 1910-1920 e poi la seconda frontiera americana che va dal 1926 al 1968. Un film molto costoso, in stile “spettacolare e grandioso” come lo definiva il pubblico e la critica. L’intenzione di Leone però era più intimistica poiché si trattava de “La nascita di una Nazione vista attraverso un balletto di morte”.
Mano al telecomando, quindi e approfittiamo di una domenica dalle ore più lunghe per nutrire lo spirito con il grande indiscusso Cinema Italiano.
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