Ripartenza col botto al Teatro Mercadante: dal 12 al 23 Maggio è andato in scena “Spacciatore una sceneggiata”. Uno spettacolo “con il pubblico e per il pubblico” come lo definisce Stefano Miglio, uno dei protagonisti dello spettacolo che abbiamo avuto l’onore di intervistare.
“Spacciatore una sceneggiata” e la programmazione estiva del Teatro di Napoli
Come sappiamo, la pandemia ha segnato per il settore dello spettacolo una fase davvero drammatica. Benché si trattasse di luoghi potenzialmente sicuri per l’attuazione delle normative anti-covid, teatri e cinema sono stati tra i primi a chiudere e tra gli ultimi a riaprire. Tra i teatri che hanno ripreso la propria attività dopo la ritrovata zona gialla è il Mercadante, la cui riapertura coincide con la messa in scena degli ultimi due spettacoli di una stagione che potremmo definire amara, per utilizzare un eufemismo.
La rassegna estiva del Teatro di Napoli- Teatro Nazionale, invece, consultabile sul sito, comprende cinque importanti prime dal 24 Giugno al 24 Luglio per la IV Edizione del Pompeii Theatrum Mundi, in uno dei siti archeologici più suggestivi del mondo. Per chi ritiene di aver sofferto troppo a lungo l’astinenza da teatro e non vede l’ora di tornare alla normalità, con le dovute cautele s’intende, non può perdersi l’occasione di assistere a uno spettacolo di questa interessantissima programmazione che mette insieme opere di teatro classico e contemporaneo, in un teatro romano del II sec. a. C. che tutto il mondo ci invidia.
Altra imperdibile occasione è stata senz’altro lo “Spacciatore una sceneggiata” di Pierpaolo Sepe per la drammaturgia di Andrej Longo, che è andato in scena al Mercadante dal 12 Maggio al 23 Maggio. Chi ha avuto la fortuna quella settimana di assistervi si sarà senz’altro, come me, “sentito a casa” e di questo bisogna dare merito a un testo fluido e una regia curata che definirei “2.0”.
È il caso che mi spieghi meglio. Il genere, richiamato nel titolo stesso, è sicuramente poco frequente nei cartelloni almeno degli ultimi anni, eppure ha attratto un notevole pubblico, che evidentemente aveva fame di palco e di spunti di riflessione. Pubblico che si sarà saziato senz’altro assistendo all’allestimento di Sepe che si presenta allo spettatore con una trama che richiama gli elementi tipici della sceneggiata ma attraverso sfumature nuove, dal gusto spiccatamente moderno.
La sceneggiata: una trama di ieri con i colori di oggi
A partire dalla scenografia, che si presenta essenziale e priva di qualsivoglia elemento superfluo. Non sono più pareti, suppellettili, arredi a darci il senso dell’ambiente, ma è l’ambiente stesso che si muove e si trasforma, al ritmo dei dialoghi e della mimica degli attori.
Così che dalla strada o da una piazza di spaccio, ci ritroviamo nell’ intimo ambiente domestico che tanto già suggerisce dello stato d’animo di un padre, raccolto in un angolo tra i suoi pensieri, per rifinire sotto il balcone del primo amore, quello che fa perdere “‘a ‘capa” o in un vicolo scuro tra le grinfie della “sposa”.
Lo Spacciatore prende vita come un susseguirsi di scene fluide nelle quali gli attori si muovono come indotti da un vortice che non può essere altro che quello delle emozioni, degli intrighi, dei pensieri. Ed in questo sono rintracciabili tutti quegli elementi tipici della sceneggiata, genere discusso ma che ha avuto indubbiamente il merito di richiamare a teatro folle di persone.
Per cui la storia si ricama su elementi quali la passione, un amore contrastato, l’esacerbazione dei legami, la malavita, il cambio di rotta dell’antagonista, finanche qualche vera e propria citazione del maestro Merola. Ma evidenze di un gusto moderno e di una particolare consapevolezza registica sono chiare immediatamente anche nei costumi che mi piace considerare non a valle di una recensione, perché una scelta stilistica coerente che aiuta lo spettatore a empatizzare è data anche, e non per second’ordine, da ciò che l’attore indossa.
Nulla è lasciato al caso
Impossibile non notare la giacca di Mercuzio per comprendere appieno il ruolo di Daniele Vicorito, interpretato con leggerezza e morbidezza, proprie dell’età del giovane attore, che richiama un carattere del teatro elisabettiano riconducendolo ad un senso fortissimo di libertà riscritto secondo canoni moderni.
Mi piace pensare che le onde raffigurate sulla sua giacca rappresentino la forza della scelta di un giovane uomo che si dedica ad un umile lavoro, pur di non cedere ai compromessi della malavita. Anche gli altri personaggi si manifestano come fortemente rappresentativi non solo di caratteri ma di scelte ed eventi che segnano la vita di ciascuno irreversibilmente, che conduce ognuno ad un bivio che cambierà le sorti della propria storia per sempre.
“Se questa fabbrica non avesse chiuso” recita Roberto Del Gaudio, che interpreta eccellentemente il padre di Riccardo Ciccarelli, valido protagonista dello spettacolo, e ci rimanda inesorabilmente a una società che ieri come oggi, ci costringe molte volte a commettere errori, e a muoverci nella direzione sbagliata, perché soli ed emarginati.
Il cast, particolarmente variegato, si esibisce in maniera impeccabile. L’acerbità dei giovani protagonisti è mitigata da una struttura registica compiuta e dettagliata che li guida senza intoppi nella messa in scena, e dalla maestria dei “più adulti”, che riportano sul palco personaggi al limite della maschera e dei caratteri esasperati, con tempi e presenza scenica da 10 e lode. Un ruolo che definire sui generis sarebbe riduttivo è quello di Stefano Miglio, che veste i panni di “Dragon Ball”, personaggio affascinante e variopinto, surreale e concretissimo al contempo.
A tu per tu con uno dei protagonisti dello Spacciatore
Noi di Corriere di Napoli abbiamo avuto l’onore di rivolgere alcune domande all’ attore Stefano Miglio, dopo la settimana di indiscusso successo al Teatro Mercadante:
-Stefano grazie mille per la disponibilità e vivissimi complimenti per la tua interpretazione. Raccontaci un po’ come è stato tornare in scena. Quali sono state le difficoltà di questo allestimento che vi fa tornare sul palco in un momento critico come questo?
–Grazie a te Roberta per questa occasione. Dunque, eravamo in piena zona rossa a novembre quando iniziammo le prove. Ricordo lo spaesamento generale di attori e tecnici dei primi giorni. L’ attore è un animale fragile che ha bisogno di “contatto fisico”, vive, si nutre dell’abbraccio del compagno, che è per lui segno forte di inclusione in un nuovo gruppo, di accoglienza in una nuova comunità, che diventa surrogato della sua famiglia per un tempo limitato.
Il distanziamento sociale, le mascherine, l’amuchina in quinta per l’igiene delle mani ha condizionato fortemente la comunicazione e i rapporti tra noi colleghi. Nelle prime settimane ha regnato un clima surreale: il lavoro stesso stava prendendo una piega piuttosto strana e l’incertezza di debuttare davanti ad una platea vuota si è trasformata successivamente in panico.
Dopo queste prime incertezze la magia del teatro ci ha salvato, come accade sempre e si avvertiva solo la gioia di iniziare un nuovo progetto, che è stato per me una vera e propria manna dal cielo, una “via di fuga”. Tornare sulle scene in quel periodo di stallo nazionale, mi faceva sentire vivo, felice.
-La storia narrata richiama vividamente i tratti distintivi della sceneggiata che però il regista ci restituisce in chiave moderna. Credi sia un genere che in questa dimensione abbia ancora un buon riscontro sul pubblico?
-Credo fortemente in questo genere, nella nuova drammaturgia e nei progetti che mettono “al centro” lo spettatore, lo rendono parte attiva del gioco teatrale. D’altra parte la sceneggiata mirava al cuore dello spettatore, coinvolgendolo in maniera diretta. Nel lavoro precedente ho avuto la fortuna di recitare ne “La Cupa” di Mimmo Borrelli, un progetto straordinario.
Mimmo crede tantissimo in un teatro dove si debba scuotere il pubblico, e lo fa in primis col testo, essendo lui un drammaturgo geniale, e i suoi lavori sono sempre a pianta centrale, cioè la scena è posta al centro della sala e il pubblico è parte integrante dello spettacolo perché immerso nella storia, assieme agli attori. Spacciatore è stato pensato da Pierpaolo così, non per l’azione scenica però, che si svolgeva in maniera canonica, quindi frontale al pubblico. Le anime di questi personaggi dovevano arrivare in mezzo alla sala ma attraverso l’interpretazione degli attori.
L’intento del regista era riscrivere La Sceneggiata, ma “per il pubblico e con il pubblico”. Credo che in questo momento storico la gente che sceglie di venire a teatro voglia in qualche modo essere “protagonista“, vivendo la storia in versione Live, vedere e quando sarà possibile, quasi toccare l’attore in scena. La fiction, le miriadi di serie Tv, il calcio proposto tre volte a settimana, inchioda ogni individuo sulla propria poltrona, lo obbliga quasi a starsene a casa. Devi creargli un’alternativa valida convincente. Spacciatore è stato un prodotto ben riuscito, io mi sono divertito molto a farlo e il pubblico è stato entusiasta, ha risposto benissimo durante le repliche. Il genere a mio parere è potente e funziona. Andrebbe sostenuto e riproposto in futuro con più convinzione da chi programma i cartelloni per le stagioni teatrali.
–Tu interpreti Dragon Ball nello Spacciatore, un personaggio emblematico e ricco di sfumature. Rompe i ritmi di scena e trascina lo spettatore in una dimensione privata, per poi ricondurlo in un mondo di caratteri ricchi di contraddizioni. Un uomo fragile dai soliloqui strampalati, coinvolgente e specchio di una società sempre in conflitto con sé stessa. Come è stato interpretare questo ruolo e a chi ti sei ispirato per realizzarlo?
– Partendo un po’ dalla genesi del testo di Spacciatore questo personaggio non esisteva nella mente di Longo /Sepe nella prima stesura, poi Pierpaolo volle incontrarmi per un provino includendo questo ruolo che aveva una traccia, una linea solo accennata nel testo. Avendomi poi scelto mi chiese in pratica di riscrivere da zero, su un foglio bianco questo personaggio, attraverso le improvvisazioni proposte sulla scena e chiese ad Andrej Longo di trascriverle e tradurle secondo la sua maniera.
Nell’ idea di Pierpaolo, DragonBall doveva avere le caratteristiche di un coro greco, difatti pensammo a un prologo per l’introduzione del dramma e proprio come accadeva ai tempi della tragedia greca col coro, ad alcuni intermezzi in cui il mio personaggio commentava, analizzava, illustrava tutto ciò che avveniva sulla scena. E’ stato meraviglioso esplorare questo personaggio!
Io mi ritengo un curioso, l’attore non può non esserlo, sono un “mariuolo di anime”, osservo chiunque quando cammino e mi capita spesso di incontrare il “Dragonball” di turno in giro per la città. Ne conosco uno che vive proprio sul pianerottolo di casa mia: un ragazzo sfortunato, che vuole farsi male da solo, entra ed esce dalla comunità, vive di espedienti, inoffensivo. Ma come fai a non volergli bene.
Il mio Dragonball è un forziere di sentimenti inespressi, ho amato trovare i suoi tic dandogli un corpo stupido, ho pensato ad una voce acuta e squillante perché lo immaginavo sempre tra la folla, nel caos. È stato un vero e proprio viaggio onirico alla scoperta del tossico vagabondo, il folle, l’idiota, il bambino, l’animale rabbioso, insomma ho goduto ad interpretarlo inventandolo di sana pianta con amore e dedizione. Devo solo ringraziare Pierpaolo coraggioso amico, per avermi affidato questo ruolo pazzesco e aver creduto nelle mie doti di attore/autore.
Ringraziamo nuovamente Stefano Miglio per la disponibilità e per averci fatto conoscere più nel vivo questa sceneggiatura.
Invitiamo tutti i lettori di Corriere di Napoli a seguirlo sui suoi canali social e a non perdere le prossime occasioni di vederlo in scena.
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