Flavia Restivo è un’attivista politica e femminista, che collabora con varie testate giornalistiche. Si descrive come: “una di quelle persone che crede ancora nella forza della politica. Politica come cambiamento e miglioramento, come umanità, come democrazia. Ragazza che ama l’azzurro più del rosa, a cui non piace la danza, amante degli Abba e dei libri storici. Ragazza che sogna di vivere in un paese fuori dai cliché”.
Il 24 aprile, abbiamo fatto una chiacchierata con Flavia, che ha risposto ad alcune domande sulla politica e il femminismo. Noi del Corriere di Napoli riportiamo qui le sue risposte, che fanno luce su un’Italia che ha bisogno di una forte spinta per una vera e propria rinascita.
-Salve Flavia! Ti va di raccontare ai nostri lettori chi sei, qual è stato il tuo percorso di studi e cosa fai attualmente nella vita?
-Ho fatto il liceo classico e poi ho Relazioni internazionali in triennale. Attualmente mi mancano due esami per finire la magistrale in Governo e Politiche alla LUISS. Per quanto riguarda l’attivismo, sono ormai attiva da 7-8 anni: ho sempre fatto volontariato e militanza politica sia all’interno del Partito Democratico sia all’interno di vari laboratori e associazioni femministe di sinistra.
-Cosa ti ha spinto a diventare un’attivista politica? Qual è stato il momento in cui hai capito che volevi fare questo nella vita?
-Il momento in cui ho capito che cosa volessi fare nella vita è stato quando è morto mio nonno nel 2013. Lui era napoletano ed io, avendo mia madre napoletana, ho sempre sofferto una sorta di discriminazione da parte delle persone che vivevano nella mia città a Roma, soprattutto nel quartiere in cui sono nata, dove le persone sono abbastanza chiuse, di destra e “un po’ fascistelle”. Ho sofferto molto per questo motivo, ma ho sempre avuto un senso di giustizia innato che, sin da bambina, mi faceva prendere le parti di colui che veniva preso in giro. Avevo quest’energia che, essendo piccola, non sapevo come impiegare.
Quando è morto mio nonno ho capito di dover fare qualcosa di più grande, che potesse permettere che queste cose non accadessero più. Volevo far capire alle persone quanto tali atteggiamenti fossero sbagliati e insensati. Ho voluto dare il mio contributo perché mi ha sempre fatto stare male vedere le prese in giro verso chi era diverso, perché anch’io – in molte cose – risultavo diversa, magari nell’atteggiamento o nella provenienza. Quando è morto mio nonno è come se una sorta di campanellino mi avesse detto: “Ok, è arrivato il momento di fare qualcosa, adesso basta”. Non sopporto più chi fa sentire le persone inferiori perché sono terrone, nere o lesbiche. Mi sono detta: “Prendo in mano la situazione e cerco di fare qualcosa di positivo”.
-Raccontaci com’è iniziato il tuo percorso di attivista.
-Nel 2014, ho iniziato a cercare un partito che potesse rispecchiare i miei ideali, cioè principalmente il fatto che io sia una socialista di sinistra. Non sono comunista: non perché io non creda nel comunismo, ma perché penso che, nella società globalizzata ed intrinsecamente capitalista in cui viviamo, il comunismo sarebbe impossibile da attuare in senso assoluto. Quindi, volevo trovare qualcosa che fosse di una sinistra attuabile nel mondo in cui viviamo.
L’unico partito in Italia che mi sembrava corrispondere a questo profilo e che allo stesso tempo aveva una certa influenza era il PD, con cui ho iniziato a fare militanza nel 2014 e ne faccio parte tuttora. Come dico sempre, ogni partito è composto da persone, quindi ogni partito ha del buono e del cattivo. Dato che nell’ultimo periodo si tende molto a criticare il PD, io mi sento di dire che sono felice di farne parte perché, nonostante ci siano persone che non rispecchiano al 100% gli ideali in cui credo, ci sono anche tante persone bravissime, bellissime e veramente progressiste.
-So che hai un tuo blog sull’Espresso. Da quanto tempo ci collabori? Scrivi anche per altre testate giornalistiche? Quali sono gli argomenti su cui scrivi abitualmente?
-Collaboro con l’Espresso da un anno. Inizialmente, scrivevo sul blog di un’altra persona, poi mi hanno notata e ho creato un mio blog personale da settembre 2020. Gli argomenti su cui scrivo abitualmente sono tendenzialmente sociopolitici: scrivo di quello che mi sta a cuore per passare dei messaggi positivi. L’idea è quella di far conoscere ciò che penso e ritengo interessante, dando un taglio leggero e stuzzicante per far riflettere il lettore sul perché determinate cose accadono e perché è giusto che non accadano più. Quindi, cerco anche di puntare sull’aspetto sentimentale e riflessivo.
-Ho visto che hai un buon numero di followers su Instagram. Hai ricevuto delle critiche da quando hai iniziato ad avere molto più seguito? Come reagisci ai commenti dei cosiddetti “haters”?
-Per fortuna devo dire di aver ricevuto pochi commenti negativi e non ho un gran numero di haters. Però, quando vedo delle reazioni negative, se si tratta di haters che pongono delle critiche costruttive, ben venga. Mentre, quando criticano solo per il gusto di farlo ed offendere o insultare, in realtà mi viene un po’ da sorridere e non la prendo sul personale.
-Con l’avvento dei media, si è accentuato un certo atteggiamento di victim blaming, che è spesso accompagnato e dovuto ad una narrazione errata della violenza di genere. In quanto attivista e femminista, tu come pensi che si possa superare questo limite culturale?
-Secondo me, questo limite culturale può essere superato soltanto con la cultura del rispetto, quindi con l’insegnamento, la sensibilizzazione e l’informazione. Una cosa che nel nostro paese manca – e che purtroppo emerge – è la mancanza di istruzione a scuola a livello di sensibilizzazione su questi temi. Non viene fatta educazione sessuale, non viene fatta educazione al rispetto e alla parità di genere, tutte cose totalmente assenti che vanno a tangere l’adulto. Secondo me, la scuola deve servire per la costruzione di giovani adulti che sono il futuro del domani. Bisogna spogliarsi dei propri retaggi patriarcali, che purtroppo in Italia sono abbastanza presenti, e cercare di aprirsi al dialogo. Questo, però, si può fare soltanto attraverso la cultura e piano piano devo dire che qualcosa si sta facendo.
-Ti sei descritta come una ragazza che crede ancora nella forza della politica. Come potrebbe essere utile questa forza per diffondere importanti messaggi a favore del rispetto delle donne e dei diritti umani in generale?
-Io credo nella politica perché per me dovrebbe essere un mezzo per migliorare il mondo e cambiare le cose. […] Penso che sia importante rimanere sempre umili e diffondere messaggi di rispetto, non dimenticando perché lo si fa. Il politico dovrebbe essere qualcuno che aiuta il prossimo, non qualcuno che comanda. Allo stesso tempo, però, anche se il politico è un servitore dei cittadini, secondo me è anche una persona che li deve indirizzare. Sicuramente oggi, con l’avvento dei media e dei social, molti dibattiti, come quello sul DDL Zan (il cui primo firmatario fa parte del PD), sono molto più forti. Anche per quanto riguarda la politica, la tecnologia sta aiutando a diffondere messaggi positivi.
-Come percepisci i giovani per quanto riguarda sia le tematiche politiche sia quelle prettamente femministe? Noti una maggiore apertura mentale nelle nuove generazioni?
-Sicuramente noto una maggiore apertura mentale nelle nuove generazioni anche grazie ai social. Soprattutto l’anno della pandemia è stato sfruttato in maniera molto positiva, infatti ne sono contenta, perché la gente si è voluta informare per sensibilizzarsi. Ho visto un netto miglioramento per quanto riguarda la sensibilizzazione dei giovani su temi che, fino a 5-6 anni fa, non erano all’ordine del giorno. Il tema delle donne è tornato nel dibattito nazionale e infatti ne sono molto contenta. Penso che le giovani donne, in particolare, possano fare la differenza e portare un paradigma totalmente innovativo rispetto a quello precedente.
-In base alla tua esperienza personale, cosa consigli alle persone che vogliono iniziare ad essere attive politicamente? Quanto è importante fare attivismo in un paese come l’Italia?
-L’attivismo in un paese come l’Italia è molto importante e anche molto difficile, ma dipende anche dalla zona in cui vivi. A volte può essere frustrante, deludente e difficile, perché in Italia non si dà spazio ai giovani e alle donne, e c’è molta competizione in questo senso. Però è importante farlo se si ha qualcosa da dire e se si vuole migliorare l’ambiente in cui si vive.
Ciò che mi sento di consigliare è di seguire il proprio istinto e le proprie vocazioni: se si vuole aiutare, fare attivismo fa stare meglio sia noi che le persone verso cui viene indirizzata la nostra azione. In primis, sicuramente si deve individuare un circolo o un partito a cui avvicinarsi. Fare conoscenze e interagire con persone che hanno un’opinione forte come la tua può essere un inizio. Bisogna informarsi e sensibilizzarsi: adesso abbiamo un sacco di mezzi a disposizione e tanta possibilità per partire con una coscienza e una conoscenza in più.
-Com’è andato l’ultimo anno tra quarantena e pandemia globale? Tutto questo ha influito sul tuo lavoro? Come hai reagito?
È stato duro per me come per tutti quanti. È stato pesante in alcuni momenti, ma anche molto soddisfacente perché ho fatto tante cose, ho lavorato molto, ho fatto progetti interessanti e varie esperienze. Quindi, devo dire che in linea di massima non posso assolutamente lamentarmi. Quando anch’io ho dei momenti di down e di smarrimento, penso sempre a tutti quelli che hanno perso la vita, che non hanno più i parenti o che purtroppo hanno perso il lavoro, e capisco di essere fortunata. Sono una di quelle persone che non si è mai lamentata troppo della pandemia, perché so che è una situazione molto seria e ho cercato di sfruttarla al massimo per migliorare me stessa.
-Hai progetti per il futuro di cui ci vuoi o puoi parlare?
-Ho un po’ di progetti interessanti che spero di portare a termine entro l’autunno. Verranno svelati a tempo debito!
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