
L’argomento di oggi per la rubrica “Colori partenopei” è la presenza dell’elemento “arabo” a Napoli. Attraverso il racconto di Adriana Riccardi, una studentessa magistrale all’università “L’Orientale” di Napoli, andremo a scoprire cos’è la lingua araba e come ha influenzato la lingua napoletana.
L’arabo nel mondo
L’arabo è una lingua appartenente al gruppo delle lingue semitiche ed è parlata in moltissimi paesi situati nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Per quanto riguarda la sua struttura, la si definisce una lingua “introflessiva”, in quanto caratterizzata da parole dotate di una radice di tre lettere (tra le quali si inseriscono altre lettere), che vanno a formare delle vere e proprie famiglie di parole con significati spesso – ma non sempre – analoghi. Ad oggi, nel mondo vi sono più di 400 milioni di arabofoni, perlopiù concentrati nei paesi della Lega araba, ma questo numero è destinato a crescere nei prossimi anni.
Una lingua liturgica
L’arabo può essere definito come lingua ufficiale dell’Islam, in quanto lingua liturgica di moltissimi musulmani. Tuttavia, la maggioranza di essi non conosce perfettamente questa lingua, a differenza della molteplicità di dialetti utilizzati nei singoli paesi della Lega araba. Questa lingua può essere definita come un pilastro dell’Islam. Attraverso il Corano, ci ha permesso di conoscere la storia di Muhammad (in italiano “Maometto”) e della sua religione.
Oltre gli sterili pregiudizi
“Credo sia fondamentale, per ogni musulmano, conoscere le radici del proprio credo, essendo l’Islam non solo una semplice religione ma una vera e propria scelta di vita. L’Islam è in grado di influenzare qualsiasi aspetto e momento della vita del singolo essere umano. E’ pertanto un diritto del fedele conoscerne le origini, a mio parere. Indipendentemente da ciò, ritengo giusto che il Corano venga tradotto in tutte le lingue del mondo, affinché tutti possano conoscere le origini dell’Islam. Credo, inoltre, che questa scelta possa rivelarsi utile soprattutto per invitare le masse ad andare oltre sterili pregiudizi e riconoscere nell’Islam il solo fine di diffondere il bene, analogamente a quanto affermato nella Bibbia”, afferma Adriana.
L’arabo: lingua dei mass media?
L’arabo standard è parlato da tutti coloro che abbiano ricevuto un’istruzione completa ed adeguata. È anche la lingua insegnata a tutti gli arabisti, in quanto costituisce lo “scheletro” di tutti i dialetti parlati nei paesi dell’area MENA. “Nonostante l’arabo standard sia presente in tutti i paesi della Lega araba, questa lingua non è utilizzata nella comunicazione quotidiana, ma soltanto per la divulgazione di informazioni attraverso i mass media. Ad oggi, sono molti gli sforzi di studiosi ed intellettuali volti ad un maggiore utilizzo di questa lingua in quanto ufficialmente riconosciuta e parlata in tutti i paesi arabi”.
Un’infinità di dialetti
Tra i principali e più diffusi dialetti, ricordiamo innanzitutto quello egiziano e levantino (per la presenza di una vasta filmografia egiziana e siriana). Adriana dice: “Non posso affermare di avere preferenze a causa della mia scarsa conoscenza dei singoli dialetti, fatta eccezione per il dialetto parlato nel Maghreb, molto distante dall’arabo moderno standard. Mi piacerebbe, comunque, conoscere ed imparare i dialetti utilizzati nei paesi del Golfo in quanto molto più vicini all’arabo standard”.
Lo studio della lingua araba in Italia
L’Italia non vanta un elevato numero di studenti arabi. Tuttavia, negli ultimi 10 anni, si è verificato un rilevante incremento del numero di studenti di questa lingua, la maggior parte dei quali sono concentrati nel Sud Italia. “Ho scelto di studiare questa lingua all’Orientale, perché si trova nella mia città ed è una delle migliori università specializzate in sinologia ed orientalistica, dunque è perfetta per lo studio di lingue orientali”. Attualmente, nel pieno della globalizzazione, la lingua araba è sempre più richiesta, non soltanto nel settore commerciale, ma anche in quello turistico. I paesi arabi del Golfo, infatti, sono in piena espansione e la conoscenza di questa lingua è sempre più richiesta.
L’influenza sulla lingua napoletana
Sicuramente la lingua araba è stata di grande rilevanza per il dialetto napoletano: ciò è dimostrato dai numerosi contatti verificatisi tra le due culture nel corso della storia fino ad oggi. Di fatto, la presenza di numerose etnie nel territorio non vanno affatto trascurate. Nella lingua napoletana, sono presenti numerosi arabismi, alcuni utilizzati con frequenza – anche inconsapevolmente – nel linguaggio quotidiano.
La studentessa ci fa vari esempi. La parola “cantaro” è un’unità di peso pari a 100 rotoli (circa 90 kg) e deriva dall’arabo “qintar”. Ricorre nella colorita espressione “Fa’ tre fiche nove ròtole e quatto ceuze nu cantaro”, riferita a chi “la fa troppo pesante”. Le parole “caraffa” e “giarra” sono denominazioni proprie della piccola brocca in vetro dal contenuto inferiore al litro e derivano da “garaf”.
La parola “mammone” è un lemma, che viene evocato per spaventare i bambini vivaci e deriva da “maymum” (scimmione). La parola “paposcia”, che indica una pantofola vecchia e deformata, viene ripresa da “babusc”, la classica calzatura orientale con la punta rivolta all’insù. Inoltre, abbiamo “abbezzèffe”, che significa “in gran quantità, abbondantemente” e deriva dall’arabo “bizzaf”. Infine, il termine “acciacco” (malanno, infermità) deriva dall’arabo “saqqa”.
L’inconsapevolezza dei napoletani
“Onestamente non credo che i napoletani siano consapevoli dell’importanza che la cultura araba ha avuto nel territorio. Non colpevolizzo i napoletani in quanto io stessa, prima di conoscere l’arabo, ero del tutto inconsapevole di ciò. Di fatto, soltanto coloro che posseggono un’ampia conoscenza della storia (soprattutto per quanto riguarda l’area del Mediterraneo) e della cultura araba (compresa la lingua, chiaramente), possono dire di esserne a conoscenza”, ammette Adriana.
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